Translate

06/05/12

Lo stile Sgarbi conquista la Biennale di Berlino



Ironicamente si potrebbe dire, visitando la Biennale di Berlino, che lo stile del Padiglione italiano di Sgarbi alla Biennale di Venezia sta facendo proseliti. 


Ma se nella progettualità del nostro critico nazional-popolare gli intenti erano più critici al sistema dell’arte contemporanea, in quelli del curatore polacco Artur Zmijewskj pare che siano scappati i tanti validi presupposti concettuali/politici/sociali, tanto di moda in questi anni, e che non abbiano trovato le giuste trasformazioni estetiche formali, in opere degne di questo nome. 

Dopo mesi di continue riflessioni e proclami ideologici la rassegna propone una marea di opere di dubbio gusto e qualità. Il caos prodotto dalla moltitudine di opere, chissà alcune forse anche interessanti, copre la dignità di ogni singolo lavoro affossandone anche i forse validi “presupposti”. 

Più che"Forget Fear" (traducibile in un “ dimenticando la paura”) si dovrebbe dire “dimenticando l’arte” visto che qui di opere artistiche non se ne ha traccia, mentre di quello spirito giovanilistico, ormai alquanto datato e un poco patetico, pare essercene a profusione. 

In fondo questi giovani “artisti” non sono i figli degli sfruttatori borghesi criticati, che non lavorano e vivono grazie al loro benessere familiare? 

Peccato che questo carrozzone pare sia costato oltre 2 milioni di euro, che, visto il risultato, si potevano investire in altri servizi sociali più utili. 

Se l’idea di apertura all’arte è più che valida, risulta difficile poterne fruire quando questa viene proposta in una veste caotica e non lineare. Si sono spese tante parole, ma poco si è operato per dare forma a questa volontà ideologica. Fra il dire e il fare ci passa la voglia di lavorare. 

Questo stile, che ricorda troppo il lontano operato di Joseph Beuys fatto però senza una vera pregnanza culturale, ma cavalcando un’onda di sussulti troppo complessi fra loro per poter trovare soluzioni formali uniche in breve tempo. 

La sensazione è che l’arte proposta in questi ultimi decenni è sempre più dispersa o trasformata in un banale oggetto di consumo. 

Privata così del valore culturale, si propone con quegli elementi riportabili alla produzione di massa, in cui l’oggetto vale non per il suo messaggio ma per il suo contenuto “brand”. 

Fra un mese sempre in Germania si avvia la nuova edizione di Documenta e qualche brivido già corre sulla schiena.