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19/06/10

Artbasel



Energia, come spesso ha ripetuto Marc Spiegler, direttore della rassegna, e se questa non era molta in sintonia con la situazione climatica, sicuramente al suo interno c’è tutta.

I numeri per il successo ci sono: 300 stand di gallerie da 36 paesi (72 Stati Uniti, 53 Germania, 32 Svizzera, 27 Gran Bretagna/ Francia, e 20 dall’Italia) con 2,500 opere allestite, 60 progetti museali per Art Unlimited, 14 sculture per Art Public, 26 proposte per Art Statements, film, incontri e tanto altro che riempie dall’alba al tramonto le occasioni di arte di gran classe.

S’inizia subito alle 10 del mattino con le interessanti Conversations con personaggi illustri e si attraversa tutto il giorno con decine di occasioni fino a sera tardi con la novità di Art Parcours, un weekend d’interventi nella città realizzati da John Bock, Angela Bulloch, Daniel Buren, Nathalie Djurberg and Hans Berg, Aurélien Froment, Ryan Gander, Damián Ortega, Martha Rosler e Cerith Wyn Evans.

E tutta la città ha risposto con iniziative parallele, molte e di ottima qualità: Design Miami/Basel, all’interno della fiera stessa, la Fondazione Beyeler, Vitra, il Kunstmuseum, la Schaulager, la Kunsthalle, Tinguely, il Museum für Gegenswartkunst, le fiere minori Volta, Scope e Liste.

Ci vogliono almeno 2/3 giorni per percepire qual cosina, per potersi godere un attimo la marea di valide proposte, tante, forse troppe, ma così vuole questo mercato che nei momenti di crisi cerca di lanciare segnali di superamento, funzionerà?

Il pubblico ha risposto molto bene, tantissimi anche gli americani ma anche gli italiani, bisogna poi vedere a fine rassegna com’è andata la cosa più importante, cioè la vendita. I prezzi che si son visti comunque sono già allineati con l’idea di ripresa.

Se qualche giorno fa alla Biennale di Berlino si vedevano tantissime opere dai complessi contenuti socio/culturali con forme leggere e fragili strutture, qui tutto pare solido e bello, di forte impatto e lontano da tematiche troppo tristi.

Le proposte delle gallerie sono quasi tutte di nomi noti con opere di ottima fattura e di grande appeal. Oggetti stupendi, lavori minuti o di grandi dimensioni, tutti ben presentati e che attirano per la loro bellezza.

In fiera mi sono piaciuti tantissimo il budello di Sergio Prego, l’intervento di Yayoi Kusama per Gagosian, le finestre specchianti Ugo Rondinone, l’opera di Latifa Echakhch e l’installazione esterna di Ai Weiwei.

Che dire? a parte il costo della vita, un poco caro, tutto il resto fantastico!

12/06/10

TAG maratona fra arte e gusti




Una serata dal cupo cielo umido ha accompagnato l’evento Torino Art Galleries, un’apertura straordinaria delle principali gallerie di arte contemporanea della città dalle 19 alle 24 di Giovedì 10 Giugno. Contemporaneamente il più importante quotidiano della città organizzava una gustosa maratona fra le gelaterie più saporite del centro.

Io ho scelto il primo tour iniziando alle 19,05 da Allegretti Contemporanea con la mostra di Salvatore Astore dal titolo Calotte, un attraversamento scultorio fra stanze cerebrali e fisiche.

Son Passato poi alla Galleria Paolo Tonin con la mostra di Franca Chiono, scatti famigliari della quiete progenie di Mehetueret. Accanto, da Weber&Weber, prosegue la bella mostra degli scatti elaboriosi di Roberto Kusterle. Stefano Cento con magmatiche città, Giorgia Oldano con immersioni animali ed Elena Rapa con un’istallazione di graffiti e quadri sono proposte nella mostra “Dissonanze” da Dieffe Arte Cento.

Da Ermanno Tedeschi “I wish I was special” di Valerio Berruti con i suoi classici disegni minimali che propongono la dualità dell’essere che raggiunge il suo culmine nel dialogo fra l’opera scultore e la sua delicata ombra.

Franco Soffiantino proponeva un incontro fra Alessandro Castiglioni e Andrea Nacciarriti che ha realizzato un intenso intervento site specific.

Sonia Rosso espone un progetto di Inaki Bonillas “Las ideas del espejo”, raccolta di “riflessi” indecisi sulla percezione del vedere proposti in forma di opere e di progetto editoriale The Binding, nella project space mentre nella galleria prosegue la mostra “The title of the show is too sad (please repeat: black, white, good, bad)” di Annika Strom.

Vicino Franco Noero espone la proposta dei caleidoscopici collage di Costa Vence. Alcune vie più in là Norma Magione offre la mostra di Bernd Ribbeck con una circolarità espressiva di linee, memorie di spazi che racchiudono vortici cromatici.

Da Giorgio Persano le opere di Paolo Grassino, un estetico dialogo di tracce fra segni fisici, rappresentazioni di un utopico passato; mentre dalla In Arco un più rigoroso Manuele Cerutti con attimi di sospese pietrificazioni, dai cristalli sfaccettati di memorie melanconiche.

La galleria di Alberto Peola offre una collettiva femminile dal titolo “Svelando l’utopia” con le artiste pakistane Naiza H. Khan, sue le intime fasciature del corpo umano e i suoi molteplici rimandi religiosi e culturali, Seema Nusrat, con un’istallazione di stoffe e cinture che decorano e sostengono mentre Adeela Suleman realizza un elaborato albero di significati. Martano unisce passato e presente fra Vittorio Agnetti e Driant Zeneli e Alessandro Quaranta, in un progetto atemporale che mostra opere che raccolgono frammenti lirici di esistenze.

Da Marena Rooms i quadri di Davide Le Grazie raccolti sotto il titolo “Layers”. Più su c’è Photo & Contemporary con le rigorose immagini di Arno Rafael Minkkinen.

Dalla Glance i quadri di D.Costa e A.Gioiello. Concludo la maratona alle 21,30 da Andrea Costa con le opere di Leigh Ledare, storie suburbane di tragica umanità raccontante con una dolorante estatica.

Purtroppo non ho potuto raggiungere le altre sedi espositive, e cioè 41 Arte Contemporanea che propone l’evento “Sei stata tu?” di Marco Cordero e Gagliardi Art Sistem con la mostra Quershnitt #3.

08/06/10

Pensieri sull’arte – Critici/Curatori



Il ruolo critico/curatoriale, creatosi e cresciuto in questi ultimi decenni con grandi aspettative, pare oggi essere una delle dinamiche che maggiormente hanno pesato nello svuotamento del ruolo artistico degli artisti che sono stati delegittimati dal loro senso e sono diventati personaggi secondari. Se alcuni di questi nuovi professionisti hanno sicuramente preso “a cura” l’artista, altri ne hanno manipolato il ruolo.

Gli artisti sono diventati attori dipendenti da una regia (curatoriale) che sempre di più è diventata la “protagonista” della scena artistica Essi sono i veri artefici di successi e sviluppi degli attori (artisti) stessi, che vengono selezionati da casting tematici e funzionali al pensiero registico, che diventa il riferimento e non più il lavoro artistico, che diventa solo un’interpretazione.

Il curatore è passato da ruolo di sostegno e crescita a operatore attivo e selettivo del gusto e del sistema stesso.

Interessante notare come la terminologia critica/curatoriale dopo interessanti riflessioni recentemente non ha più parole per descrizione dell’opera, ma è diventata elemento primario di una mostra a volte l’unico di senso, che supera la funzione stessa delle opere che diventano esse descrittive del testo.

Spesso i pensieri presentati paiono farraginosi, riproposti in continue citazioni o rimandi ad altri. Costruiti come elaborate letterature, fra il romanzo e il documentativo, che realizzano magici voli pindarici di parole per indefiniti oggetti.

Il ruolo dei curatori/critici è sempre più artistico. Essi sono diventate i riferimenti più attivi nel produrre e nel far fluire l’arte, sono i veri artefici di un’opera e della sua esistenza, diffusione, notorietà e spesso anche della loro realizzazione, dove l’artista è spesso il punto di partenza ma controllato e pilotato da queste dinamiche figure.

Il ruolo poi dell’apparato documentativo è diventato quasi prioritario sull’opera, tanto più quando questa è alquanto “leggera” e “rarefatta”. Per cui il ruolo del testo diventa determinante per dare un “senso” all’opera, in tale situazione ci si domanda fino a che punto siamo in arte visiva o in attività letteraria/saggistica.

Ma forse oggi non è più sensato limitare tutto alle semplici caselle di un tempo, cambiato il mondo anche il modo di riconoscerlo deve essere nuovo e adatto al tempo.

Un ottimo esempio sono le pubblicazioni d’arte in particolare le più recenti fanzine, piccole wikipedia della fantasia e dell’originalità, raccolta di artisti fragili, strani (ma con ottime gallerie internazionali) che fingono un mondo precario e casuale. Ricercatezze più letterarie/narrative che estetiche. Raccolta di memorabilie giuste per riempire un giorno di noia ma che non vanno oltre alla fantasia del racconto, quasi sempre in forma diaristica.
In queste pubblicazioni il lavoro artistico scompare, rimane solo il piacevole divertimento del testo, la raccolta di stranezze e di giovanilistiche emozioni, simili a quelle che già comparivano sui primi numeri di Artforum negli anni settanta.

02/06/10

Pig Island - L'isola dei porci

Opera in Sala 1 : Static 2009-2009

Se ci si domanda com’è il nostro presente, la mostra di Paul McCarthy può dare qualche risposta, a iniziare dal luogo, esempio della classica tradizione italiana, della sua operosità e della sua creatività, che nella nostra patria trova sempre suoi grandi estimatori e realizzazioni.

Passando poi al lavoro di questo storico artista americano che ha saputo fondere la storia dell’arte nel gusto più contemporaneo e autentico.

Artista anticipatore di quello che oramai quotidianamente ci circonda, dai mezzi d’informazione al linguaggio che per le strade si sente. Grande proprio nel suo tenere sapientemente equilibrate, senza sbavature, il gusto di un mondo che dopo secoli di bellezza è collassato sulla massificazione.

Che in un sapore unico e privo di futuro si autocelebra nel suo abbandonarsi alle pulsioni primarie, che forse ci riportano alla vera natura dell’uomo.

La mostra si apre con Dreaming, autoritratto dell’artista che ci accompagna in questo mondo di sogni (ma forse non è la realtà?) che sono le sue opere.

Il viaggio senza Virgilio è duro, oggi non ci sono più guide o indicazioni, entriamo nella vita senza reti, senza motivazioni, senza speranze. Attraversiamo poteri, storie, leggende e immaginifici che rivelano la dimensione più alta dell’uomo, la sua naturalità, il suo tentativo di raccontarsi dimenticando la pulsione più unica, il suo bisogno di sopravvivenza e di sopraffare l’altro al fine di essere qualcosa che in Europa si definisce io.