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09/08/04

Il corpo e l’anima

Spesso mi capita di essere interpellato a proposito della limitata materialità ed esteticità delle mie, o di altri artisti, opere (d’arte contemporanea). Dell’eccessiva complessità del messaggio o della difficoltà nel linguaggio usato per svelarlo.

Forse è ancora d’uso aspettarsi il “bell’oggetto”. In tanti, davanti ad un lavoro contemporanea, sperano di essere rapiti dalla “Sindrome di Stendhal”.

Ma ciò ormai pare desueto. In una società che, da molti anni, ha fatto della bellezza il suo fulcro, dimenticandone però l’anima, sarebbe riduttivo pretendere tale condivisione anche da parte degli artisti. Il grande problema è l’essenza dell’individuo.

Se nel secolo scorso Dostojeski proponeva la bellezza come salvatrice dell’umanità, oggi pare che codesta speranza si sia realizzato in modo sbilanciato, dedicando una eccessiva attenzione alla patina, senza scendere nella profondità dei bisogni umani, nel soddisfare anche una bellezza del vivere.

Se nel ‘800 si sveniva davanti ad una visione di un’opera d’arte, oggi bisogna reagire, diventare attivi e non addormentarsi nelle braccia di Morfeo.

Nel nostro presente tutto è focalizzato sull’idea estetica, dove ogni cosa pare vivere intorno alla superficie di una straripante bellezza. Oramai siamo disposti a trasformare il nostro corpo, inserendo perfino materiali innaturali, distruggendo in tal modo le connessioni della nostra rete biologica. Rinunciando così alla nostra memoria, sia naturale sia fisica, per assoggettarlo a un’idea di eterna bellezza/giovinezza, come se il momento più completo di un individuo sia la sua fase di formazione, momento molto critico e in continuo divenire.

(Tanto per fare del gossip trovo spaventosa e mostruosa un’attrice come la Loren che tenta la follia della staticità, trasformando in modo continuo il suo aspetto, fermandolo a un tempo che ora non c’è più, rendendo il suo corpo innaturale e irrispettoso del suo essere mutevole e reale.)

Abbiamo sostituito il rispetto per la vecchiaia, quando finalmente si forma e completa il percorso evolutivo di una persona, e quindi luogo del sapere e della memoria, a vantaggio di un’eterna lobotomizzata gioventù passiva, idea già cara alle dittature del secolo scorso.

L’arte si trasforma e reagisce in modo violento e critico, cercando nel valore del suo messaggio di provocare non sindromi ma atti concreti di risposta alla congelazione della civiltà stessa. Essa ha mutato il suo interesse, passando dagli oggetti puramente morti e decorativi a oggetti vivi e antropologici. Ci viene in mente a tal proposito culture come quella egiziana e cinese, che giunte al loro culmine si sono raggelate e fermate in un’idea somma di bellezza, ma che alla fine concise con la morte e il crollo delle loro stessa civiltà.