Spesso
rimango perplesso a vedere come la realtà dell’arte lentamente si è
trasformata.
Sempre di più si erode il valore culturale ed espressivo a favore
di strategie più economiche, ma già negli anni cinquanta tutto ciò era
percepito, lo stesso Picasso dialogando con Giovanni Papini manifesta molte
perplessità.
Ecco qui il testo tratto dal libro di Giovanni Papini “Il libro
nero” 1951 Vallecchi Editore che ho trovato molto interessante
“ … Da giovane, come tutti i giovani, ho avuto anch’io la religione dell’arte, della grande arte. Ma poi, col passar degli
anni, mi sono accorto che l’arte, come s’intendeva fino a tutto l’Ottocento, è
ormai finita, moribonda, condannata e che la cosiddetta “attività artistica”,
con la sua stessa abbondanza, non è che la multiforme manifestazione della sua
agonia. Gli uomini vanno sempre più disaffezionandosi di pitture, sculture e
poesie, nonostante le contrarie apparenze. Gli uomini di oggi hanno messo il
loro cuore in tutt’altre cose: le macchine, le scoperte scientifiche, la
ricchezza, il dominio delle forze naturali e delle terre del mondo. Non sentono
più l’arte come bisogno vitale, come necessità spirituale, a somiglianza di
quel che in altri secoli accadeva. Molti di loro seguitano a fare gli artisti e
ad occuparsi d’arte, ma per ragioni che con l’arte vera hanno poco a che
vedere, cioè per spirito d’imitazione, per nostalgia della tradizione, per
forza d’inerzia, per amore dell’ostentazione, del lusso, della curiosità
intellettuale, per moda o per calcolo. Vivono ancora, per abitudine e snobismo,
in un recente passato, ma la grande maggioranza, in alto e in basso, non ha più
una sincera e calda passione per l’arte, che considera tutt’al più come spasso,
svago e ornamento….A poco a poco le nuove generazioni, innamorate di meccanica
e di sport, più sincere, più ciniche e più brutali, lasceranno l’arte nei musei
e nelle biblioteche, come incomprensibili e inutili relitti del passato…. Un
artista che vede chiaro in questa fine prossima, come è avvenuto a me, cosa può
fare? Troppo duro partito sarebbe quello di cambiar mestiere, e pericoloso dal
punto di vista alimentare. Ci sono, per lui, soltanto due strade: cercare di
divertirsi e cercare di far quattrini…..“ Dal momento che l’arte non è più il
cibo che alimenta i migliori, l’artista può sfogarsi a suo talento in tutti i
tentativi di nuove formule, in tutti i capricci della fantasia, in tutti gli
espedienti del ciarlatanismo intellettuale. Nell’arte il popolo non cerca più
consolazione ed esaltazione; ma i raffinati, i ricchi, gli oziosi, i
lambiccatori di quintessenze, cercano il nuovo, lo strano, l’originale, lo
stravagante, lo scandaloso. Ed io, dal cubismo in poi, ho contentato questi signori
e questi critici con tutte le mutevoli bizzarrie che mi son venute in testa, e
meno le capivano e più mi ammiravano. A forza di spassarmela con tutti questi
giochi, con queste funambolerie, con i rompicapo, i rebus e gli arabeschi, son
diventato celebre abbastanza presto. E la celebrità significa, per un pittore,
vendite, guadagni, fortuna, ricchezza. ….. E ora, come sapete, son celebre, son
ricco…..Ma, quando son solo, fra me e me, non ho il coraggio di considerarmi un
artista nel senso grande e antico della parola. Veri pittori furono Giotto e
Tiziano, Rembrandt e Goya: io sono soltanto un amuseur public, che ha capito il
suo tempo e ha sfruttato meglio che ha saputo, l’imbecillità, la vanità e la
cupidigia dei suoi contemporanei. E’ un’amara confessione, la mia, più dolorosa
di quel che vi possa sembrare, ma ha il merito di essere sincera….”