Bernado Bellotto Veduta di Torno dal lato del giardino reale
Il percorso museale torinese sta subendo grandi cambiamenti. Da poco si è avviato il trasferimento dall’Accademie delle Scienze della favolosa raccolta della Galleria Sabauda, che provvisoriamente è stata suddivisa fra Palazzo Reale e una storica mostra alla Venaria Reale. Intanto la vasta raccolta del Museo Egizio è momentaneamente in movimento e parzialmente visibile per i grandi lavori di rinnovamento che renderanno il complesso dell’Accademia uno dei più completi musei sulla cultura egizia al mondo, il tutto senza mai chiude al pubblico.
In queste nuove trasformazioni una pregiata rivalutazione sta subendo Palazzo Reale che ora amplia la sua offerta culturale dando ospitalità alla stupenda raccolta della Galleria Sabauda che è dislocata nei restaurati spazi della Manica Nuova di Palazzo Reale e una parte nella Venaria Reale.
Col suggestivo titolo “Torino, Europa. Le grandi opere d’arte della Galleria Sabauda nella Manica Nuova di Palazzo Reale” sono presentati, in un percorso storico, alcuni capolavori della ricca collezione dei reali d’Italia. Questo evento è la prima tappa del trasferimento, destinato a completarsi entro il 2014, di tutte le opere della Galleria Sabauda nella Manica Nuova di Palazzo Reale – spiega il direttore regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici del Piemonte Mario Turetta – che diventa così parte integrante del Polo Reale di Torino, il grande progetto costituirà un grande e importante complesso museale nel centro storico della città, costituito dalla Galleria Sabauda stessa, da Palazzo Reale, da Palazzo Chiablese, dalla Biblioteca Reale, dall’Armeria Reale, dal Museo di Antichità e dai Giardini Reali”.
In quest’ottica la mostra nella Manica Nuova, prosegue il direttore: “Si pone come una operazione di pubblico servizio, per mantenere visibili le più significative opere della Sabauda e preservare il legame di turisti e di cittadini con la Galleria, dare sin da ora inizio al processo di fidelizzazione del pubblico con la nuova sede e comunicare i primi risultati di un capillare ed approfondito lavoro di catalogazione scientifica”.
Il percorso di visita si fonda su novantacinque opere d’arte scalate fra il XIV ed il XIX secolo. “Si tratta di sculture e soprattutto di dipinti, selezionati all’interno degli oltre milleduecento che compongono il patrimonio della Sabauda e sottoposti nella circostanza a un’accurata revisione conservativa, sottolinea la Soprintendente Edith Gabrielli. Non mancano i ‘quadri-manifesto’, ovvero i capi d’opera per cui la Sabauda è nota in tutto il mondo, dalle Stimmate di San Francesco di Jan van Eyck all’Annunciazione di Orazio Gentileschi fino al Ritratto equestre di Tommaso Francesco di Savoia Carignano di Antoon van Dyck. Questi ed altri capolavori saranno però chiamati a dialogo con opere che finora non hanno goduto dello spazio e dell’attenzione che pure meritano, a formare un percorso critico inedito e di grande rigore scientifico, volto a privilegiare il confronto tra la scuola artistica piemontese e le altre scuole, vuoi italiane, vuoi europee”.
La Sabauda a centottanta anni esatti dalla sua fondazione - il Museo venne istituito da Carlo Alberto nel 1832 – attraverso la mostra entra in una fase del tutto nuova. L’operazione pone un taglio netto con il passato e dunque è per molti aspetti da giudicarsi rivoluzionaria. Eppure non è la prima volta che accade nella storia del museo. “Già nel 1865 la Galleria traslocò da Palazzo Madama al Palazzo dell’Accademia delle Scienze – spiega la direttrice della Galleria Sabauda Anna Maria Bava – Allora il trasferimento fu dettato da ragioni conservative, oggi invece serve per adeguare la Sabauda al nuovo ruolo di Torino, una città che almeno dai Giochi Olimpici del 2006 si è proposta sullo scacchiere internazionale come crocevia d’arte e di cultura”.
Segnaliamo anche che fino al 24 Giugno è possibile godere, sempre presso Palazzo Reale, dell’ antologica che rende omaggio ad un indiscusso maestro francese della fotografia, per raccontare la storia di uno sguardo unico e di un artista definito “l'occhio del secolo”: Henri Cartier-Bresson.
L’esposizione presenta oltre 130 fotografie in bianco e nero, scattate fra i primi anni ‘30 e la fine degli anni ’70 che cristallizzano avvenimenti di portata epocale quali il funerale del Mahatma Gandhi in India, la vita nel campo di deportazione di Dessau ove l’artista ritrae una donna nell’intento di accusare un’altra donna di essere una spia della Gestapo o un meeting politico nei primi anni Cinquanta a Parigi nel Parc des Expositions nel quale diviene protagonista un uomo di spalle che si rivolge alla folla sterminata – 1952/53. Insieme a queste opere, si incontrano anche fotografie di persone comuni: uomini, donne, bambini, lavoratori, giovani ed anziani ritratti nella loro quotidianità. Scatti nei quali i soggetti non sono quasi mai in posa, ma vengono sorpresi nell’atto di compiere una qualche azione che, grazie all’attento occhio del maestro, si carica di infinita poesia. Ne è forse emblema la fotografia scattata nel carcere di Leesburg nel New Jersey, dove il braccio e la gamba di un prigioniero fuoriescono drammaticamente dalla grata di una cella di isolamento -1975 o la magnetica Downtown. New York - 1947, nella quale lo sguardo dello spettatore si concentra sui protagonisti grazie alle linee dei muri laterali che convergono in un unico punto di fuga.
Attraversando le tre sale dedicate all’esposizione si incontreranno gli enigmatici ritratti dedicati all’artista Alberto Giacometti e fotografie di inusitata intensità e raffinata poesia come quella in cui un uomo attraversa a passo veloce la parigina Gare de Lion – 1932 o quella in cui un gruppo di persone è impegnato in un picnic domenicale sulle rive di un fiume: France. Sunday on the banks of the River Marne – 1938. Si visiteranno luoghi non sempre conosciuti come nello scatto realizzato a Diep negli anni '40, dove i volti di due giovani sulla spiaggia sono nascosti da un ombrello e si incontrerà il volto di un eunuco della corte imperiale di Pechino che sorride alla macchina fotografica nel 1948. Delicata e romantica la fotografia di due giovani su un treno colti fra le braccia di Morfeo si contrappone ad un'altra di grande sensualità ove i floridi corpi di alcune donne dominano lo spazio di Spain. Valencia Province. Alicante – 1933… Si potrebbe continuare ad elencare tutte le opere ma in ognuna di esse, l’unica costante sono la luce, il soggetto, la composizione, la geometria e la forma che confluiscono in una straordinaria condizione nella quale la perfezione formale si accompagna all’organicità della realtà metafisica trascendendone o amplificandone il significato. “Quando guardo un’opera di Henri Cartier-Bresson – scrive Yves Bonnefoy nel volume Henri Cartier- Bresson. Photographe – 1979 – provo dapprima meraviglia che possano essere accadute situazioni così ricche di senso, così intense..”