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18/09/11

Piovra - Yoshua Okón



La ricerca di Yoshua Okon (Città del Messico, 1970) può essere interpretata come una incessante sperimentazione socio-antropologica, tradotta in lavori (spesso video-installazioni, ma anche fotografie e oggetti) che, pur mantenendo spesso un aspetto all’apparenza documentaristico, trascendono il contesto in cui si collocano per parlare, più in generale, degli aspetti contraddittori, surreali e grotteschi che appartengono alla condizione umana.

Nei video di Yoshua Okon l’improvvisazione e il coinvolgimento di non-attori ha un ruolo fondamentale, come a far intendere che la realtà supera di gran lunga la fantasia in fatto di emblematicità e di risonanza delle situazioni ritratte. Così, in Orillese a la Orilla, dei poliziotti messicani sono chiamati a esibire davanti alla telecamera le loro pose migliori, creando un involontario spettacolo machista che parla di sopraffazione e abuso di potere. In un lavoro più recente, intitolato Bocanegra, Okon lavora con un gruppo di neo nazisti messicani che, durante il loro rituale incontro settimanale, vestiti con divise del Terzo Reich, intrattengono conversazioni surreali che
inframmezzano statement politici a banali considerazioni di ordine quotidiano.

Piovra, il lavoro che dà il titolo alla mostra (esposto in contemporanea all’Hammer Museum di Los Angeles), consiste nella rimessa in scena della guerra civile in Guatemala, riproposta nel parcheggio di un Home Depot della periferia di Los Angeles, durante un giorno di regolare apertura. Yoshua Okon porta alla ribalta una guerra che tutti, in particolare gli USA, hanno voluto dimenticare, anche in virtù del provato coinvolgimento della CIA negli sconvolgimenti politici guatemaltechi che, nei primi anni ’50, hanno condotto ad una guerra civile tenuta in vita per ben 40 anni con lo scopo di favorire le multinazionali statunitensi nel controllo di una porzione
significativa dell’economia Guatemalteca.

I performer che prendono parte al video sono membri della comunità Maya di Los Angeles: immigrati clandestini negli USA in fuga dai lunghi anni di una guerriglia a cui hanno preso parte in entrambe le fazioni, i combattenti ripropongono la loro esperienza di guerra, traslata nel luogo dove, ad oggi, passano le loro giornate in attesa di essere assunti come braccianti giornalieri.

L’effetto straniante creato dalla distanza, all’apparenza insanabile, tra un campo di battaglia e il parcheggio di un grande magazzino, si assottiglia fino a rivelare le responsabilità politiche e morali di un paese assopito dal consumismo e dalla convinzione che il profitto possa costituire un pretesto per conquistare e sottomettere.

Nell’altro ambiente della galleria, come una sorta di contrappunto, e’ esposto Hipnostasis, una video-installazione prodotta in collaborazione con Raymond Pettibon. Attraverso una narrativa frammentata, i due artisti ritraggono un gruppo di vagabondi hippies di Venice Beach, volontariamente dediti a un’esistenza al di fuori delle regole e dei dettami sociali. La stasi che contraddistingue queste figure dall’aspetto icastico, quasi dei monumenti a un’utopia fallita, rivela l’approccio profondamente mistico e allo stesso tempo rivoluzionario di questi reduci della filosofia hippy. A un livello ulteriore, il lavoro sembra aprirsi a un’investigazione più profonda, di carattere esistenziale, che mette in discussione assunti come l’autenticità delle nostre scelte di vita e la comune nozione del tempo e dello spazio.

Attraverso un approccio che mischia toni comici e tragici, il reale e l'assurdo, Yoshua Okon ci offre due manifestazioni, all’apparenza antitetiche, di un'indagine volta a rivelare gli aspetti critici di una realtà che, percepita attraverso un sistema di convenzioni e di condizionamenti culturali, spesso ci si para davanti senza essere vista.

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