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18/09/11
Grazie, prego, scusi
John Kleckner è cresciuto in una fattoria, nello stato americano dell’Iowa, in una tipica farm dove il tempo scorre lento, si impara ad aspettare e i dettagli acquistano importanza. Questa attitudine alla riflessione, alla pazienza del fare, alla cura del particolare e alla ricerca metodica, si è poi trasferita nella prassi artistica del disegno, in seguito appresa e affinata durante gli anni di studio in accademia.
Nei primi anni del Duemila si trasferisce a Berlino insieme a quella generazione che oggi rappresenta la comunità artistica internazionale più interessante e variegata. Nel periodo della sua formazione, per John Kleckner la passione per la storia dell’arte si è mescolata agli interessi giovanili, così l’incontro con il Surrealismo e il Dadaismo accompagna la lettura dei fumetti della Marvel e il cinema horror di serie b, i paesaggi incantati dei Pre-Raffaelliti incrociano la saga di Star Wars sulle note psichedeliche dei Nirvana. Sono gli anni Novanta, e la cultura artistica si muove tra il rifiuto della dilagante mercificazione dell’opera d’arte e l’affermazione di una controcultura libera dagli schemi sociali ed economici, tra riferimenti letterari “alti” ed una mitologia fantastica e popolare, terreno di formazione per uno stile hardcore punk, affollato di figure inventate, frutto della fantasia visionaria dell’artista. Universi remoti e paesaggi astrali con il tratto leggerissimo della china sono lo sfondo per il progetto Forty Seasons, una raccolta di 40 disegni ispirati a quaranta ipotetiche stagioni, scenari senza tempo abitati da figure mitologiche, in cui lo stile tipico dell’illustrazione viene arricchito dai colori ad acquerello. Negli anni che seguono i disegni mostrano i segni di una crescente tensione tra figurazione e astrazione, un conflitto generato dalla ricerca di un equilibrio formale. Da un lato l’accuratezza chirurgica nella descrizione delle immagini, dall’altro un consapevole interesse per la materia diventano i cardini attorno a cui si articola la produzione di Kleckner degli ultimi anni. A questi si aggiunge l’uso di stampe e altri materiali cartacei che l’artista trova, seleziona e utilizza come supporto e scenografia di storie senza tempo, atmosfere noir, racconti epici che in realtà non esistono, una mitologia fittizia che è l’emulazione di certi immaginari popolari nutriti di romanticismo, che l’artista disvela nella loro reale inconsistenza.
A queste sperimentazioni si rifà il lavoro realizzato per la mostra Grazie, Prego, Scusi, titolo della storica canzone di Mogol del ‘65, ma in questo caso lo spartito su cui John Kleckner costruisce uno dei collage della serie prodotta a conclusione della sua residenza all’interno del ciclo “Domani, a Palermo”. Kleckner sperimenta la più tradizionale delle tecniche contemporanee, sfruttando la pratica surrealista dell’accostamento di parti e materiali diversi, mettendo insieme disegni di piccoli volatili, animali o insetti ritratti a china alla maniera di Albrecht Dürer, con vigorose pennellate di colori che invadono la superficie della carta lasciando visibile solo alcune didascalie. Il gioco è semplice: lo spray ricopre l’immagine raffigurata su fogli provenienti da pubblicazioni di storia dell’arte del Novecento, la didascalia rimane a commento della nuova composizione.
Il dittico Spring, Early Spring, ad esempio, è composto da due carte interamente mascherate di colore azzurro chiaro e azzurro scuro, una tecnica con la quale l’artista interpreta metaforicamente quella stratificazione di stili, di storie e civiltà che si vive in Sicilia. Tra i collage, un gruppo è dedicato ai Quattro Canti, intersezione topografica delle due vie principali di Palermo, via Vittorio Emanuele e via Maqueda che nelle nicchie dei quattro angoli dei palazzi secenteschi accolgono le statue di re spagnoli e, al livello più alto, quelle delle quattro vergini panormite, le sante Cristina, Ninfa, Oliva e Agata. Kleckner impreziosisce il collage col disegno meticolosissimo di quattro zanzare tigre, virtuosismi a china degni della migliore tradizione d’incisione ottocentesca. Si tratta di un principio compositivo che utilizza i meccanismi inconsci legati da un lato alla gestualità pittorica, dall’altro alla creazione di immagini poetiche ed estremamente controllate, il cui significato entra in relazione con le parole e con altri elementi derivati da un certo immaginario fumettistico. Alla sua prima esposizione in Italia, questa produzione si inserisce nella ricerca di Kleckner come ulteriore opportunità di lavorare sui limiti delle tecniche artistiche, evidenziando quel conflitto di stili, modi, tradizioni che rappresentano probabilmente il ritratto più fedele della città di Palermo. Francesco Pataleone Arte Contemporanea via Garraffello, 25