La
storia dell’arte visiva ci ha insegnato che col variare del tempo le forme artistiche
sono cambiate e si sono evolute. Nell’ultimo secolo la mutazione non è stata solo
estetica ma è stata globale, passando così da forme fisiche definite, quali la pittura
o la scultura, a indefinite e molteplici fisicità, da quella astratta di James Lee
Byars a quella multimediale del web.
Questi
cambiamenti hanno sconvolto molto l’idea stessa di arte visiva, spesso si potrebbe
parlare di multiarte, che nel suo essere diventa parte teatro, parte musica, parte
arte visiva e tante altre cose.
Tutto
questo trasformarsi rende sempre più difficile poter definire le cose e spesso può
risultare inutile. Alla fine cosa può contare è la soddisfazione che l’accaduto
può creare nel fruitore.
La
cosa che però lascia perplessi è come si possa dare un reale valore a molte delle
cose e come questo valore possa essere sproporzionato al suo effettivo compiersi.
Un
esempio per tutti le vendite di opere che realizzata industrialmente in vari multipli
in realtà vale all’uscita della produzione poche centinaia di euro a fronte dei
milioni con i quali è stata venduta.
Una
risposta si può trovare nella filiera distributiva che nel tempo ha creato un’enfasi
di distribuzione che accresce un qualsiasi oggetto che segue questa via. Indifferentemente
dal suo reale valore. Situazione che permette delle ottime speculazioni di valori
e che nel tempo produrrà un vuoto economico in certe tasche e una crescita in altre.
Il
gioco è lo stesso del mercato della moda, dove abiti di media fattura vengono distribuiti
secondo canali enfatizzanti che ne accrescono il valore di vendita.
Il
divertimento, per ora, funziona molto bene, a scapito però degli artisti che si
trovano sempre più privati del loro ruolo creativo e del reale senso di crescita
culturale che viene imposto da un sistema più attento alle variabili del gusto
che delle idee.