Uscendo dal cinema ieri sera, pensavo che un qualsiasi film di media produzione superi largamente il godimento di molte mostre di arti visive frequentate recentemente.
Oggi tendo sempre di più a percepire entrambi gli eventi come svaghi per fasce di mercato diversificate, due forme d’intrattenimento, in cui l’incidenza “culturale” è spesso un aspetto non determinante della fruizione.
In questi anni la falsa ipotesi del valore “artistico” di molte opere viste nelle gallerie/musei come “superiori” ad altri prodotto è sempre più insostenibile, un esempio ne sono i tantissimi noiosissimi video “artistici”, per fortuna in scomparsa, che anziché essere proposti in un pratico sito come YouTube, vengono allestiti in spazi per giustificarne qualche valore, ma la cui realizzazione molto spesso è inferiore alla media dei video visti nei siti web, in modo pratico e senza un inutile dispendio di tempo, ma forse proprio un reale confronto renderebbe molto evidente la cosa per cui meglio rifugiarsi in un luogo poco visitato come una galleria che al giudizio di una vasta platea.
Questa strana situazione, forse, ha le sue cause nelle scelte delle oligarchie del mercato dell’arte, avviate per pratiche necessità di ritorno d’investimento, avviata svuotando la forte valenza del fare artistico eccezionale e appiattendo il ruolo creativo a una funzione di brand (sia per gli artisti di oggi che di ieri) proponendo “l’opera artistica” come un qualsiasi prodotto da commercializzare in tutto il mondo, con relativa iperproduzione, svuotando proprio il senso di unicità/esclusività del “manufatto”, questo si percepisce molto bene nei nuovi recenti siti di vendita d’arte contemporanea.
Infatti la commercializzazione delle opere via web è una prassi alquanto consolidata. Iniziata alcuni anni fa come pratico veicolo informativo fra artista/galleria e cliente, ora sta prendendo sempre più un ruolo prioritario anche per la vendita, che avvengono sempre più direttamente senza una visione reale dell’opera, come già succede per qualsiasi prodotto commerciale. Questa consuetudine ha poi preso una dimensione molto forte con i nuovi siti che vendono direttamente, e in modo aggressivo, opere artistiche anche di affermati nomi dell’arte, cosa che “svuota” l’ultimo filo di fascino al prodotto stesso, conformandolo a qualsiasi banale oggetto di largo consumo.
Non si capisce se siamo alla conclusione di questa parabola del sistema dell’arte o a una sua possibile trasformazione, che sicuramente ne farà perdere fascino, ma forse riuscirà a diffonderne le istanze.