Oggi, Giovedì 18 aprile apre a Torino, alle ore 18, in via della Rocca 37, un nuovo luogo per l'arte dal suggestivo nome di "Spazio Don Chisciotte", nuovo spazio torinese della Fondazione Bottari Lattes.
L'avvio avviene con la mostra che unisce il tema della pittura alla scrittura, titolo "Pittoriscrittori" con una ventina di opere di alcuni protagonisti culturali del Novecento, che hanno dedicato la loro vita alla pittura e alla letteratura, alle immagini e alle parole: Luigi Bartolini, Dino Buzzati, Italo Cremona, Filippo de Pisis, Albino Galvano, Mario Lattes, Carlo Levi, Alberto Savinio, Emilio Tadini.
Spazio Don Chisciotte è il nuovo luogo espositivo ideato e voluto da Caterina Bottari Lattes, presidente della Fondazione Bottari Lattes. Porta il nome della storica galleria romana diretta da Giuliano De Marsanich, che aprì la sua attività nel 1962, testimonial Alberto Moravia, proprio con una mostra di Mario Lattes. Idealmente dedicata allo scrittore e pittore scomparso nel 2001, la rassegna torinese presenta nove artisti che, come Lattes, trovarono nella pittura e nella scrittura scambievole e paritaria modalità espressiva.
Curata da Vincenzo Gatti, la mostra è aperta fino a sabato 22 giugno (da martedì a giovedì 15,30-19,30; venerdì e sabato 10-12,30 e 15,30-19,30) ed è realizzata da Spazio Don Chisciotte in collaborazione con la Fondazione Bottari Lattes di Monforte d’Alba.
Il catalogo Pittoriscrittori, distribuito presso lo Spazio Don Chisciotte, presenta un saggio introduttivo di Bruno Quaranta, che ritrae i nove artisti nel loro percorso artistico, sospeso tra penna e pennello.
Ai nove pittori scrittori saranno dedicati incontri tematici, tenuti da critici d’arte, critici letterari e scrittori, sempre allo Spazio Don Chisciotte, per indagare sui legami tra le loro opere visive e quelle scritte.
L’esposizione raccoglie personalità di area torinese (Cremona, Galvano, Lattes, Levi), accanto a protagonisti storici della ricerca artistica del Novecento, come Savinio e de Pisis. In tempi più vicini si colloca l’opera del milanese Tadini, mentre con Bartolini e Buzzati ci si trova di fronte a individualità del tutto originali: Bartolini, incisore tra i più grandi del secolo scorso, acceso polemista e umoroso scrittore, e Buzzati, il grande visionario della letteratura, che diceva: “…Sono un pittore il quale, per hobby, durante un periodo purtroppo alquanto prolungato ha fatto anche lo scrittore e il giornalista. Ma dipingere e scrivere per me sono in fondo la stessa cosa…”. In queste parole potrebbe forse riassumersi il senso profondo della ricerca che accomuna gli artisti in mostra.
Spiega Bruno Quaranta nella sua introduzione al catalogo: «Che cosa accomuna Mario Lattes e Carlo Levi, Dino Buzzati e Albino, Galvano, Italo Cremona e Luigi Bartolini, Alberto Savinio e Emilio Tadini e Filippo De Pisis qui adunati? L’essere pittori e scrittori, indissolubilmente, esibendo una sola carta d’identità. Lo stesso Montale, sospeso fra accordi e pastelli, preoccupato di distinguere fra primo e secondo mestiere, infine comporrà ad unità e l’uno e l’altro, benedicendo il secondo, ed eventualmente il terzo, che consentono di salvare la dignità della poesia, non riducendola a merce, tutelandone la libera, liberissima manifestazione.
Nella città jamesiana che è Torino – come non evocare la devozione di un Maestro incisore quale Mario Calandri verso Giro di vite –, una mostra di arte e letteratura naturalmente s’impone. Immagini e parole irrevocabilmente intrecciate».
Tra le opere in mostra, provenienti da collezioni private: La fragile conchiglia (1936) di Luigi Bartolini; Il Babau (1967) di Dino Buzzati; Vittoria sul cavallo di gesso (1939) di Italo Cremona; Vaso di Fiori (1944) di Filippo de Pisis; Calligramma (1960) di Albino Galvano; Biblioteca (1991) di Mario Lattes; Il fratello (1926) di Carlo Levi; Prometeo (1929) di Alberto Savinio; Museo dell’uomo (1974) di Emilio Tadini.
Note sugli artisti:
Luigi Bartolini (1892 – 1963), pittore, incisore, scrittore e poeta. Nato a Cupramontana (Ancona), è considerato tra i maggiori incisori italiani del Novecento, insieme con Giorgio Morandi e Giuseppe Viviani. Il suo stile artistico si riallaccia alla tradizione naturalista italiana dell’Ottocento, ispirandosi anche alle stampe di Rembrandt, Francisco Goya, Telemaco Signorini, Giovanni Fattori e degli incisori del Settecento italiano. Nel corso della carriera sviluppa diverse maniere definite maniera bionda, nera e lineare, con le quali realizza numerose acqueforti, dedicate ai paesaggi delle Marche e della Sicilia, e le serie Gli insetti, Le farfalle, Gli uccelli e Scene di caccia.
La prolifica attività di scrittore, poeta, critico d’arte e polemista, lo vede autore numerose pubblicazioni presso le maggiori case editrici: Vallecchi, Mondadori, Longanesi, Nistri Lischi. È stato collaboratore dei principali giornali e riviste italiani: Il Selvaggio, Frontespizio, Quadrivio, Maestrale, Corriere della Sera, il Borghese.
Nel 1946 pubblica per l’editore Polin di Roma il romanzo Ladri di biciclette, dal quale Cesare Zavattini trae spunto per la sceneggiatura dell’omonimo film di Vittorio De Sica.
Dino Buzzati (1906 – 1972), scrittore, giornalista, drammaturgo, librettista, pittore. Nato a San Pellegrino di Belluno, poco prima di terminare gli studi universitari entra come praticante al Corriere della Sera, del quale diverrà in seguito redattore e infine inviato. Nel 1933 esce il suo primo romanzo, Bàrnabo delle montagne (Treves), al quale segue Il segreto del Bosco Vecchio (Treves, 1935), entrambi portati sul grande schermo: il primo da Mario Brenta nel 1994, il secondo da Ermanno Olmi nel 1993. È del 1940 il suo più grande successo: Il deserto dei Tartari (Rizzoli), dal quale nel 1976 Valerio Zurlini trae il film omonimo.
Autore realistico, con toni narrativi fiabeschi, nei suoi romanzi e racconti affronta temi e sentimenti quali l’angoscia, la paura della morte, la magia e il mistero, la ricerca dell’assoluto e del trascendente, la disperata attesa di un’occasione di riscatto da un’esistenza mediocre (Le mura di Anagoor, Il cantiniere dell’Aga Khan, Il deserto dei Tartari), l’ineluttabilità del destino (I sette messaggeri) e l’illusione (L’uomo che voleva guarire).
Accanto all’attività di scrittore e giornalista, Buzzati si dedica alla pittura: realizza bozzetti e dipinti di vario genere e partecipa a numerose mostre. Con Poema a fumetti (premio Paese Sera nel 1970) fonde la visionarietà della pittura, la dimensione popolare del fumetto e il racconto fantastico. Il suo dipinto più noto è Il Duomo di Milano (1952), raffigurato come una montagna dolomitica, con guglie e pinnacoli, e con pascoli verdi al posto della piazza.
Quest’anno è stato rieditato da Mondadori Le storie dipinte, a cura di Lorenzo Viganò.
Italo Cremona (1905 – 1979), pittore e scrittore. Nato a Cozzo Lomellina (Pavia), compie a Torino gli studi classici e universitari.
La sua carriera espositiva è caratterizzata da un’intensa attività fin dal 1928. Dal 1946 al 1955 insegna Decorazione all’Accademia di Torino, esponendo nel frattempo nelle mostre d’arte italiana a Vienna (1949-50) e in Germania (1950-51). Alla Biennale del 1950 il dipinto Inondazione di Torino viene acquistato dal Ministero della Pubblica Istruzione. Partecipa al Premio Michetti, al Premio La Spezia, a Peintres de Turin a Nizza, nel 1951, e ha una sala di suoi disegni alla Biennale del 1954. Tra il 1959 e il 1960 collabora con Maccari all’almanacco L’Antipatico. Dal 1966 è Accademico di San Luca.
Artista poliedrico, le sue opere si caratterizzano per una singolare fusione di elementi metafisici e di effetti surrealisti (Capriccio, 1938), cui fa seguito una personale interpretazione del realismo magico. Tra i suoi soggetti: nudi di donna, demoni, figure animalesche, danze macabre, forme che si plasmano e si ricreano, ma anche limpidi ritratti e paesaggi di Torino e del quartiere San Salvario.
È stato sceneggiatore e costumista di cinema dal 1937 al 1947, incisore, illustratore di testi, collaboratore con scritti sull’arte e la letteratura a riviste e giornali come Il Selvaggio, Paragone, Il Caffè, La Fiera Letteraria, Emporium, Primato, Costume.
È autore di romanzi ricchi di sogno e fascino, come La coda della cometa.
Filippo de Pisis (1896 – 1956), pittore e scrittore. Nato a Ferrara, è uno tra i maggiori interpreti della pittura italiana della prima metà del Novecento. Inizia adolescente a scrivere poesie, ma si dedica subito anche allo studio della pittura, che lo porterà a vivere una vita avventurosa e appassionata in varie città italiane ed europee.
Scrive prose, liriche e poesie, raccolte in Canti della Croara (in cui la malinconia crepuscolare si alterna alla ricerca di una dimensione cosmica) ed Emporio, entrambi del 1916. Nel 1920 inizia a redigere il saggio La città dalle 100 meraviglie, che sarà pubblicato nel 1923. La visione nostalgica e malinconica presente nelle opere scritte lo porta, nei primi quadri da autodidatta, a connettere la spazialità metafisica delle superfici distese e ben calcolate con una pittura di tocco, di tipo lirico e sensorio. La stagione metafisica si inaugura del tutto dopo l’incontro con Giorgio De Chirico e il fratello Alberto Savinio e Carlo Carrà, non senza l’influenza di Giorgio Morandi (1920-1924). Impiega sovente il collage, secondo una tecnica derivata dal Dadaismo, ma con intenzioni liriche e non polemiche. Al Futurismo si accosta attraverso Ardengo Soffici e Corrado Govoni, di cui coglie il valore ritmico delle opere. Stabilitosi a Parigi nel 1925, dove conosce Edouard Manet, Camille Corot, Henri Matisse, amplia il suo timbro cromatico e accentua l’immediatezza e la gestualità del suo tocco grazie agli insegnamenti dell’Impressionismo e dei Fauves. Dipinge nature morte, nudi maschili e immagini d’ermafroditi.
Sottigliezze coloristiche di tipo nordico compaiono invece nei paesaggi londinesi del 1935 e del 1938. Tornato in Italia allo scoppio della guerra, lavora a Milano (1940-43) e a Venezia (1944-48). Le ultime opere sono caratterizzate da labili tratti di colore su una tela lasciata in gran parte scoperta. Eugenio Montale definì il suo tratto pittorico e sincopato “pittura a zampa di mosca”.
Albino Galvano (1907 – 1990), pittore, storico dell’arte e filosofo. Nato a Torino, è allievo e poi assistente di Felice Casorati presso l’Accademia Albertina di Torino, quindi professore di filosofia al Liceo Classico Vincenzo Gioberti. Nel 1945 fonda, insieme con Franco Antonicelli, l’Unione Culturale di Torino, associazione che raccoglie intellettuali e artisti quali Norberto Bobbio, Vittorio Foa, Ludovico Geymonat, Francesco Menzio, Massimo Mila. Nel 1947 pubblica il primo numero della rivista Tendenza: nell’articolo programmatico La pittura, lo spirito, il sangue, mette a fuoco le coordinate teoriche della sua poetica, fondata sul richiamo al vitalismo e all’immoralismo di Friedrich Nietzsche.
Tra il 1945 e il 1949 nella sua pittura si apre una fase espressionista, caratterizzata dalla semplificazione dei contorni lineari e dal cromatismo bidimensionale. Gli sviluppi di questa ricerca lo conducono all’astrazione e a costituire con Annibale Biglione, Adriano Parisot e Filippo Scroppo la sezione torinese del Movimento arte concreta (Mac), di cui faceva parte anche Carol Rama.
Sia nelle vesti di organizzatore culturale sia in quelle di pittore i suoi obiettivi sono la salvaguardia dell’indipendenza della ricerca artistica e il rinnovamento dei mezzi linguistici. Molte sue composizioni astratte sono segnate da forti valenze religiose e metafisiche. Alla metà degli anni Cinquanta si apre a ricerche segniche e gestuali di impronta informale. Alla fine del decennio, in una serie di dipinti dedicati all’iris e concepiti come omaggio a Stéphane Mallarmé, avvia il recupero della figuratività.
Tra i saggi pubblicati: Storicità e significato dell’arte astratta (1953); Le poetiche del simbolismo e l’origine dell’astrattismo figurativo (1956); L’erotismo del liberty e la sublimazione astrattistica (1963). I volumi Per un’armatura (Lattes, 1960 – ripubblicazione nel 2010 a cura della Fondazione Bottari Lattes) e Artemis Efesia. Il significato del politeismo greco (Milano 1967) attingono alla storia delle religioni, alla filosofia, alla psicoanalisi e all’antropologia.
Mario Lattes (1923 – 2001), pittore, scrittore ed editore. Nato a Torino.
La sua pittura, dopo un iniziale periodo informale, è sempre stata figurativa, con valenze visionarie e fantastiche, tale da evocare illustri discendenze, da Gustave Moreau a Odilon Redon a James Ensor. Capace di dare vita a immagini oniriche, ha sperimentato tecniche e linguaggi eterogenei, con i quali ha espresso il dolore dell’esistenza e la propria rivendicazione di libertà da ogni pregiudizio. La sua opera racchiude momenti d’ispirazione ora astratta, ora espressionista, ora visionaria, per approdare a suggestioni visive, senza mai essere imprigionata in categorie o movimenti. Dagli oli su tela o su carta, alla grafica, fino agli acquerelli, alla tempera e alle tecniche miste, la produzione pittorica si distingue anche per i temi affrontati: le contraddizioni della vita, il dolore e le difficoltà nella quotidianità, le memorie e la consapevolezza della propria frammentata identità, la ribellione alle idee preconfezionate, alla volgarità delle mode. Tanto che il critico d’arte Marco Vallora commentava nel 2008: “Lattes è sempre là dove non te lo attendi, anche tecnicamente”.
Del 1947 è la sua prima mostra alla galleria La Bussola di Torino. Negli anni Cinquanta allestisce personali a Torino, Roma, Milano e Firenze e partecipa con successo a due edizioni della Biennale di Venezia. Segue una regolare attività espositiva in tutta Italia. Dopo la Seconda guerra mondiale si dedica alla casa editrice torinese Lattes, fondata nel 1893 dal nonno Simone. Nel 1953 fonda la rivista Galleria che dall’anno seguente, con il titolo Questioni, diventa voce influente del mondo culturale piemontese e non solo. Vi partecipano intellettuali italiani e stranieri come Nicola Abbagnano, Albino Galvano e Theodor W. Adorno.
Tra il 1959 e il 1985 pubblica diversi di romanzi, tra cui: La stanza dei giochi (Ceschina, 1959), Il borghese di ventura (Einaudi, 1975), L’incendio del Regio (Einaudi, 1976; Marsilio, 2011), L’amore è niente (La Rosa, 1985).
Carlo Levi (1902 – 1975), pittore, giornalista e scrittore. Nato a Torino, dopo gli studi di medicina comincia a dipingere sotto la guida di Felice Casorati. Esordisce appena ventenne come pittore, partecipando alla Quadriennale torinese del 1923 e alle Biennali di Venezia del 1924 e 1926. Due soggiorni a Parigi lo mettono in contatto con la lezione dei Fauves, ma anche di Modigliani e degli espressionisti Chaïm Soutine e Oskar Kokoschka, orientandolo verso una pittura dove l’adesione alla realtà si stempera in un emozionato cromatismo (L’eroe cinese, 1930). Partecipa con Gigi Chessa, Nicola Galante, Francesco Menzio, Enrico Paulucci e Jessie Boswell al gruppo dei Sei di Torino, costituitosi del 1929 in aperta opposizione al novecentismo.
Nel dopoguerra continua la sua attività espositiva in Italia e all’estero. La sua attività di pittore culminerà nella mostra personale tenuta alla Biennale di Venezia del 1954.
Amico di Piero Gobetti, fondatore con i fratelli Rosselli del movimento clandestino Giustizia e Libertà, durante la Resistenza è membro del Cln toscano e condirettore della Nazione del Popolo, quindi direttore del quotidiano L’Italia libera. Viene condannato dal regime fascista al soggiorno coatto in Lucania (1935-1936), esperienza che gli ispira il libro Cristo si è fermato a Eboli (1945, Einaudi) e numerosi ritratti della gente del luogo, caratterizzati da forme di elementare monumentalità.
Altri suoi libri nel catalogo Einaudi sono: Paura della libertà, Le parole sono pietre, L’orologio, Il futuro ha un cuore antico, La doppia notte dei tigli, Un volto che ci somiglia, Tutto il miele è finito, Quaderno a cancelli e Scritti politici.
Alberto Savinio (1891 – 1952), pseudonimo di Andrea De Chirico, scrittore, pittore, musicista e compositore. Nato ad Atene, fratello di Giorgio De Chirico, studia pianoforte e composizione al Conservatorio della sua città natale, quindi studia a Monaco. Nel 1910 si trasferisce a Parigi, dove, insieme con il fratello, frequenta l’avanguardia di quegli anni (Breton, Picasso, Apollinaire, Cendras, Cocteau). Qui esordisce come scrittore con il poema drammatico Les chants de la mi-mort (1914). Nel 1916 a Ferrara entra in contatto con gli artisti metafisici e diventa il più acuto teorico di questa corrente pittorica – che comprende il fratello, Filippo de Pisis, Carlo Carrà e Giorgio Morandi – con articoli pubblicati in Valori Plastici tra il 1918 e il 1922.
Nel 1927 tiene a Parigi la sua prima mostra di pittura. Da allora svolge, in parallelo con l’intensa attività letteraria, un’attività pittorica riferibile al Surrealismo, ma intesa soprattutto a dar forma ai due principi fondamentali della poetica metafisica: la spettralità e l’ironia. I temi più frequentati sono paesaggi e figure metaforiche (L’annunciazione, 1932), spesso complicate da un repertorio di immagini derivate dalla classicità, mai idealizzata, ma guardata con intenzioni di ironico disvelamento. All’inizio degli anni Trenta è nuovamente a Roma. Dopo la mostra del 1940 alla Galleria del Milione a Milano, si dedica soprattutto all’attività grafica. Pubblica L’infanzia di Nivasio, Dolcemare e Ascolto il tuo cuore, città (1941); Narrate uomini la vostra storia (1942); Casa “La Vita” (1943). Fra i suoi lavori musicali ricordiamo i balletti Perseo (1924, su soggetto di Michel Fokine), Ballata delle stagioni (1925), La morte di Niobe (1927), La vita dell’ uomo (1946), tutti su soggetto proprio. Nel 1852 cura regia, allestimento scenico e costumi per l’Armida di Gioachino Rossini al Maggio Musicale Fiorentino.
Nel 1954 la Biennale di Venezia gli dedica una retrospettiva, con presentazione di Libero de Libero.
Emilio Tadini (1927 – 2002) pittore, scultore e poeta. Nato a Milano, laureato in lettere, nel 1947 pubblica il poemetto La passione di san Matteo sul Politecnico di Vittorini. Negli anni Cinquanta inizia la sua carriera di pittore che nel giro di un decennio lo porta ai vertici dell’arte italiana contemporanea. Innumerevoli le sue mostre personali in Italia e all’estero.
Sin dal suo esordio artistico nel 1961 lavora per cicli tematici, preferendo gamme cromatiche fredde, nell’ambito dell’avanguardia della nuova figurazione (Giardini freddi, 1966; Colore e Co, 1969), non senza alcuni riferimenti al Surrealismo e alla Pop-art (Museo dell’uomo: donne che corrono in riva al mare, 1974). Una delle più ricche è la grande retrospettiva di Palazzo Reale, a Milano, del 2001.
Sul fronte della scrittura il suo primo romanzo è Le armi l’amore, del 1963. Dopo un periodo dedicato esclusivamente alla pittura, è la volta di L’opera (1982), La lunga notte (1987), La tempesta (1993), Eccetera (2002). Del 1991 è il suo libro di poesie L’insieme delle cose. Due le sue pièces rappresentate a teatro: La tempesta (tratta dal romanzo, 1995) e La deposizione (1997). Sempre per il teatro ha tradotto Re Lear (2000). Importanti anche i suoi interventi saggistici, come La distanza (1998) e L’occhio della pittura (1999). Per molti anni è critico d’arte e letteratura sul Corriere della Sera e fa del giornalismo culturale di alto livello, anche televisivo. Presiede l’Accademia di Brera dal 1997 al 2000. Muore nel 2002 nella sua città.
Ha detto di lui Umberto Eco: “uno scrittore che dipinge, un pittore che scrive”.
Info al pubblico:
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