"Tutta l'arte è immorale", con questa frase di Oscar Wilde, alcuni giorni fa, l’Economist presentava un recente report della Barclays Bank in cui veniva messo in risalto come il mercato dell’arte è molto “emotivo”.
La ricerca mette in evidenza come quello che pare più significativo non siano le opere ma lo stato di “allegria” che si crea all’interno del sistema arte. Per cui cosa conta non è tanto il bel manufatto artistico ma la capacità di renderlo desiderabile, creando così una serie di giochi che vanno dalle dinamiche rapidi delle aste a quello più quiete e uniche delle fiere.
L’opera d’arte è vista più come un oggetto di conquista che come un oggetto da vedere. Il valore del possesso pare dominare sul piacere dello sguardo.
Se all’acquisto tutto pare essere perfetto un’altra percezione si ha nel momento della vendita quando le cose non sempre tornano. Il primo problema risulta trovare il canale per rimettere l’opera sul mercato il secondo stabilirne il prezzo.
L’arte contemporanea si muove così in un “ambiente” molto delicato e controllato da pochi attori che ne definiscono le strategie modificandone così il senso culturale.