Sullo scorso numero del “The New Yorker”, il primo di Luglio, c’è un interessante articolo, scritto da Calvin Tomkins, che tratteggia il profilo di Nicholas Serota, direttore della Tate Modern di Londra.
L’articolo ripercorre la sua vita analizzandone diversi aspetti e mettendo in risalto le dinamiche capacità di questo personaggio, che si è formato dopo un lungo processo di esperienze in diverse sedi, sempre vagliato e in un continuo confronto con la realtà culturale ed economica della città di Londra.
Colpisce la sua mentalità propositiva e la continua abilità nel muoversi fra necessità pragmatiche e aspetti culturali. Doti che si sono riflesse nella gestione degli spazi da lui diretti e che hanno portato la sua ultima creatura, la Tate Modern, nata solo un decennio anni fa, a diventare uno dei più importanti spazi culturali della capitale inglese, punto di riferimento per tutto il mondo dell’arte contemporanea.
Sicuramente un periodo particolarmente fertile e una cooperazione governativa hanno avuto il loro peso ma le grandi capacità di Serota hanno trasformato queste energie in una realtà che è visitate ogni anno da oltre cinque milioni di visitatori, trainando la rivalutazione immobiliare e turistica di tutta questa zona londinese, che era sempre stata sottovalutata.