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13/05/18

Al modo di Vezzoli



Su Rai3, ad un orario impossibile, per cui fruite del comodo RaiPlay, è iniziata un nuovo programma intitolato "A modo mio" .

La prima puntata è andata in onda lo scorso 11 Maggio con ospite l'artista Francesco Vezzoli, che in forma di intervista narra del suo percorso creativo, fra attimi intimi e attività artistica.

Una bella puntata che conferma la coerenza stilistica e culturale di questo noto artista italiano, capace di modulare il suo percorso artistico in diversi frangenti e con un profondo senso dell'emozioni umane contemporanee. 



CS

Prende il via una nuova serie di documentari dal titolo "A modo mio", cinque puntate in seconda serata a partire da venerdì 11 maggio su Rai3 alle 23.10, che raccontano le vite originali, le scelte umane, intellettuali, etiche ed artistiche di cinque persone che, attraverso una continua ricerca individuale, sapendosi sempre riorientare e riscoprire, sono state capaci di uscire da regole e schemi precostituiti e di gettare uno sguardo innovatore verso i rispettivi ambiti di appartenenza.

L’artista visivo, la religiosa, il costumista, la performer, il tatuatore. Questi i protagonisti dei cinque appuntamenti. In tutti i racconti, sempre, una grande sincerità, perché la riflessione esistenziale ed artistica che esprimono risponde ad una profonda urgenza individuale. Sono uomini e donne che si avventurano in un processo per­sonale di ricerca che li porta in uno spazio aperto e libero, un luogo lontano, immateriale, che rimanda ai territori della spiritualità. I nostri protagonisti sono dei monaci della loro passione: carismatici, integri, dai caratteri in­tensi, vivono il proprio lavoro come una missione che trascende i fini più immediati. Con un obiettivo chiaro in mente: quello di svolgere la loro funzione in modo personale, fieri della propria individualità, proprio perché solo fuori dalle categorie, siano esse di sesso, di razza o di classe, ciascun individuo trova la propria affermazione.

La prima puntata avrà come protagonista l’artista Francesco Vezzoli. Bresciano, 46 anni, assieme a Maurizio Cattelan è l’artista italiano che gode di maggior successo e rispetto in ambito inter­nazionale. La sua opera esprime una continua urgenza di ricordare, rielaborare, reinventare le icone mitiche del cinema internazionale, da Gore Vidal a Sophia Loren, da Helmut Berger a Veruschka. Una figura originale e controversa, amatissimo dalle star di Hollywood e dalle popstar più glamour. John Maybury lo ha definito “pushy little shit”. Qualsiasi artista vorrebbe celare questa definizio­ne poco edificante, non lui che, provocatorio quanto mai, ne ha fatto un inno di battaglia.

Vezzoli non ama entrare nel merito del valore arti­stico di quanto crea, preferisce sottolineare il fatto di averlo creato e basta: l’opera sta proprio lì. Come quando trasformò il Museo Guggenheim di New York in un gigantesco Palasport, per una mostra con una Anita Ekberg seduta a fare da opera, il pubblico pagante a guardare direttamente l’allestimento e la miriade di vip a fare la fila fuori, furibondi.

Il primo appuntamento riflette il punto di vista dissacrante e intelligente di un protagonista dei nostri tempi. E’ il racconto di un uomo dall’anima libera, provoca­tore e al tempo stesso abilissimo comunicatore di se stesso.

Seguiranno i racconti delle vite di Teresa Forcades, monaca benedettina, laureata con una tesi sulle medicine alternative, molto attiva nel campo degli studi di teologia femminista. Interessata a temi come la difesa dell’aborto, la bat­taglia contro la lobby delle industrie farmaceutiche, la difesa del mondo GLBT. Di Silvia Calderoni, performer teatrale ma ancora prima, giovanissima, nelle più famose discoteche romagnole. La sua vita, afferma, è un atto politico. Un’urgenza di libertà, uno spazio libero in cui riconoscersi. Senza alcuna alternativa. Di Pietro Sedda, laurea in scenografia all’Accademia di Brera. Inizia a tatuare nella sua Oristano, poi a Urbino, Milano e Londra. Per lui il corpo è pensiero, indipen­dentemente dalla nostra volontà. Il corpo esercita il suo diritto di comunicazione che prescinde dal nostro intelletto, e quella del tatuaggio è forse la for­ma più antica e arcaica d’espressione che conosciamo. Infine il racconto di Carlo Poggioli, costumista, figlio di un prete “spretatosi” per amore. La sua vita è stata, ed è ancora, una continua scommessa per intraprendere nuove strade, sempre al servizio di una smodata passione per lo spettacolo, sempre con il desiderio di regalare al pubblico la possibilità di trasformare il sogno in realtà.