La retrospettiva di Wael Shawky (Alessandria d’Egitto, 1971), allestita al Castello di Rivoli, presenta una serie di opere filmiche, sculture e nuovi altorilievi lignei ispirati alla storia delle Crociate, narrata dal punto di vista degli arabi anziché degli europei.
L‘artista trasforma lo spazio della Manica Lunga, le cui pareti sono state dipinte di blu, in un ambiente scenografico e spettacolare. Il percorso espositivo, che si snoda attraverso una costruzione con torri all’interno della quale è proiettato Cabaret Crusades: The Horror Show Files(2010), prosegue verso un giardino pensile ai cui lati sono esposte ventisei sculture. Si giunge quindi a un’altra costruzione che rievoca un minareto al cui interno è proiettato Cabaret Crusades: The Path to Cairo (2012). L’allestimento prosegue con una serie di fotografie di marionette e si conclude con il terzo video della trilogia, The Secrets of Karbala (2015). “I visitatori – scrive Marcella Beccaria - vengono trasportati in un passato remoto i cui echi sono però riconoscibili nel nostro instabile presente di guerre mediorientali e nuove incertezze”.
Ispirata a fonti medievali islamiche quali Usama Ibn Munqidh e Ibn al-Qalànisi - oltre a Le Crociate viste dagli Arabi (1983), dello storico libanese Amin Maalouf - Cabaret Crusades si sofferma sulle campagne militari volute dalla Chiesa in Terra Santa. L’artista inizia la narrazione con le prime Crociate, dal 1096 al 1099, messe in scena nel primo capitolo di Cabaret Crusades: The Horror Show Files. Prosegue con la Prima e la Seconda Crociata, svoltesi dal 1099 al 1145, rappresentate in Cabaret Crusades: The Path to Cairo. Queste opere scavalcano le più tradizionali nozioni relative allo scontro di civiltà tra mondo occidentale e culture islamiche. L’utilizzo di marionette al posto di attori veri e propri, permette alla trilogia di mantenere un tono magico, apparentemente discordante con l’argomento violento e macabro descritto. Shawky si è servito di antichi burattini provenienti dalla collezione Lupi di Torino per il primo film e di marionette in ceramica realizzate appositamente per il secondo.
The Secrets of Karbala è l’ultimo capitolo della trilogia e vede l’uso di marionette in vetro di Murano. L’opera presenta scorci della Battaglia di Kerbela (680), il principale e tragico evento che portò alla tuttora esistente divisione tra Islam sciita e sunnita. La narrazione termina con la presa di Costantinopoli da parte dei Crociati nel 1204.
La trilogia affronta il problema della storia e delle vicende umane travolte da ambizione e rivalità, da tradimenti e avidità.
Carolyn Christov-Bakargiev, curatore della rassegna, scrive: “Nelle sue opere è davvero la natura automatica e artificiale dei pupazzi che permette un effettivo allontanamento e distanza dal trauma. I personaggi sono oggetti, non persone ‘a tutto tondo’”. Allo stesso tempo, la condizione del burattino è anche più in generale un intenso e indiretto riferimento ai nostri tempi, ai tempi in cui le cose sono sempre più controllate in remoto […]. Ma Shawky non accetta questa natura telecomandata delle esperienze nell’era digitale […]. Il suo quasi obsoleto impegno nell’attività manuale o di memoria va contro la velocità dell’era digitale e conduce la pratica artistica verso una forma di meditazione e di esercizio fisico, un po’ simile allo studiare o anche al pregare”.
Laura U. Marks, docente alla Grant State University, Vancouver (Canada), ed esperta in new media del mondo contemporaneo arabo, nel suo testo in catalogo afferma che “Il gioco delle marionette ha una poeticità in sé conclusa, in quanto testo, medium e azione si complementano e si completano a vicenda. È semplice per l’estetica sopraffare la narrazione, soprattutto per gli spettatori del nostro tempo in cui burattini reali sono un medium raro. La materialità e la meccanicità delle marionette diventano gli eroi della storia, con i personaggi che esse rappresentano. Guardando questi film, siamo costantemente tesi, temendo e sperando per il burattino, elogiando mentalmente l’abilità dei marionettisti, e partecipando alla storia. Mise-en-scène, cinematografia, montaggio e suono amplificano queste tensioni. Tale estetica materialmente molto densa risulta essere il mezzo ideale per raccontare le storie delle crociate attraverso gli occhi arabi”.
Note biografiche
Wael Shawky (Alessandria d’Egitto, 1971), dopo aver frequentato la Facoltà di Belle Arti presso l’Università della sua città natale, nel 2000 ha conseguito il Master of Fine Arts alla University of Pennsylvania. Tra mostre recenti ricordiamo Cabaret Crusades, MoMA PS1, New York (2015); Wael Shawky, Mathaf, Doha (2015); Cabaret Crusades, Kunstsammlung NRW - K20, Düsseldorf (2014); Wael Shawky: Horsemen Adore Perfumes and Other Stories, Sharjah Art Foundation, Sharjah (2014); Wael Shawky, Serpentine Gallery, Londra (2013); Al Araba Al Madfuna, Wael Shawky, Kunst-Werke, Berlino (2012); Nottingham Contemporary, Nottingham (2011). I suoi lavori sono stati esposti nell’ambito di importanti rassegne internazionali tra cui: Une breve histoire de l’avenir, Musée du Louvre, Parigi (2015); SALTWATER: A Theory of Thought Forms, 14. Istanbul Biennial, Istanbul (2015); Manifesta 10, San Pietroburgo (2014); You Imagine What You Desire, 19th Sydney Biennial, Sydney (2014); Now Babylon – architecture, culture and identity, Louisiana Museum of Modern Art, Humlebæk (2014); A History of Inspiration, Palais de Tokyo, Parigi (2013); Re:emerge, Sharjah Biennial, Sharjah (2013); 9th Gwangju Biennial, Gwangju (2013); dOCUMENTA (13), Kassel (2012).
Nel 2015 l’artista ha vinto la prima edizione del Mario Merz Prize. Nel 2013 gli è stato conferito lo Sharjah Biennial Award 2013.