Nuovo appuntamento con
l’arte contemporanea per le Ogr di Torino, il prossimo 12 Luglio si inaugura la
mostra “Forgive me, distant wars, for bringing flowers home”, la prima
personale in uno spazio italiano del trio di artisti Ramin Haerizadeh, Rokni
Haerizadeh e Hesam Rahmanian, di origine iraniana e residenti negli Emirati
Arabi, con la curatela di Abaseh Mirvali.
La mostra è parte
dell’iniziativa del Premio Ogr assegnato a Rokni Haerizadeh, l’anno scorso ad
Artissima, che ora coinvolge giovani artisti.
CS
Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh, Hesam Rahmanian.
"Forgive me, distant wars, for bringing flowers home"
| Opening: 12 luglio, 2018 |
Binario 1
OGR - Officine Grandi Riparazioni
"Forgive me, distant wars, for bringing flowers home" – verso tratto dalla poesia Under One Small Star di Wislawa Szymborska – è il titolo scelto per la mostra di Ramin Haerizadeh, Rokni Haerizadeh e Hesam Rahmanian in programma alle OGR di Torino dal 12 luglio al 30 settembre 2018. Un percorso espositivo che cerca di dare una chiave di lettura alla pratica artistica di Ramin, Rokni ed Hesam, concentrandosi sulle loro metodologie di lavoro e sul processo di realizzazione e di comunicazione delle opere. Negli ultimi decenni, i tre artisti hanno condiviso una filosofia di vita che li ha condotti a una “creazione comune”, condizionata dalla relazione con le conoscenze e le capacità tecniche altrui, nella quale la pratica individuale e quella collettiva interagiscono. Dall’intreccio dei loro dialoghi con quelli di altri artisti, amici e collaboratori – tra cui il direttore di scena Joan Baixas, l’ingegnere robotico John Cole, l’artista di comunità Niyaz Azadikhah, e lo scrittore e produttore Mandana Mohit – è emerso un linguaggio personale che ha permesso ai tre artisti di presentare, all’interno del proprio processo creativo, diversi livelli di contenuto e struttura.
Consapevoli che la loro pratica non comprende solo ciò che da loro è creato, ma anche i contributi degli altri individui con i quali si relazionano, Ramin, Rokni ed Hesam rifiutano il concetto dell’Artista Genio, preferendo riconoscere tutti i facenti parte del processo di realizzazione del lavoro – da altri artisti a falegnami, tecnici e light designer – come parte del processo di sviluppo di un ambiente condiviso e collaborativo determinante nella creazione di qualcosa di nuovo. Ad esempio, di una mostra. In altre parole, i partecipanti condividono metodi, modi di pensare e lavorare, costruendo di conseguenza una sensibilità altra che permette la creazione di qualcosa di nuovo.
Nella loro pratica collaborativa, gli artisti creano una serie di alter ego che permette loro di giocare con le identità individuali, lavorando con tematiche legate al linguaggio, allo spazio vuoto, al potere, alla trasformazione, all’appartenenza, al dislocamento, all’esilio, alla sofferenza e alla distruzione. Queste creature – così come gli artisti stessi le definiscono – vivono in video documentari sul loro processo creativo e in performance video, vere e proprie opere d’arte. Questi personaggi, antropomorfi, fito o zoomorfi, sono caratterizzati da un qualche tipo di limitazione sensoriale o motoria, considerata dagli artisti punto di partenza per affinare gli altri sensi. Piccole persone con nasi e orecchie da roditori, code da pesce o teste di lattuga diventano quindi protagoniste di un mondo fittizio che entra nella vita degli spettatori come performance live o installazione di opere create dalle creature stesse. Reinterpretando la pratica dell’objet trouvè, quando diventano creature e desiderano raccontare la loro storia, gli artisti selezionano una serie di oggetti quotidiani. Oggetti indossati, malconci o dimenticati sono reinventati in un mondo parallelo e connotati da nuovi significati. Nel loro materializzare un immaginario, nel loro riuso di oggetti abbandonati, le creature offrono una sottile, a volte opaca, lettura della società contemporanea.
La mostra non vuole essere una retrospettiva dell’opera degli artisti. Forgive me, distant wars, for bringing flowers home desidera essere una dimostrazione del come Ramin, Rokni ed Hesam sviluppino il loro senso eterogeneo di creazione, un racconto del lavoro da una prospettiva che ne osserva il meccanismo e ne esalta la filosofia basata sulla condivisione della realtà e l’inclusione degli altri.
— Estratto, riadattato in lingua italiana, dal testo curatoriale scritto da Abaseh Mirvali e Constanza Medina.