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26/07/14

MAO, Un’angoli di quiete orientale




Al MAO con nuovi riallestimenti e una bella mostra fotografica con gli scatti di Fosco Maraini.

Si tratta di uno degli angoli più rilassanti e affascinanti di Torino, in un quartiere storico e appartato, nella classica tradizione di riservatezza piemontese.

Articolato su cinque piani il MAO, Museo d'Arte Orientale, è una piacevole esperienza, uno stimolante viaggio nella storia con tracce di terre lontane.

Viaggio che viene rinfrescato dalle diverse mostre e dai continui riallestimenti conservativi, come il recente programma di rotazioni delle lacche, che dopo quattro anni di esposizione vengono sostituite da altre in archivio.

La grande vetrina oggetto delle sostituzioni, posta all'inizio della galleria dedicata al Giappone, ha ospitato e continuera' ad ospitare oggetti pregevoli dei periodi Edo (1603-1868), Meiji (1868-1912) e Taisho (1912-1926).

La piu' importante tra le lacche esposte e' una grande ryoshibako (scatola per carta e documenti) in legno dorato, della meta' del 1700, che presenta sul coperchio un paesaggio con ciliegi in fiore. La decorazione, realizzata con polveri metalliche applicate secondo la tecnica maki-e ("pittura cosparsa"), e' un prezioso esempio dell'altissimo livello tecnico e artistico raggiunto dai laccatori giapponesi, e fa di questa scatola uno dei piu' splendidi oggetti di arte applicata in dotazione al MAO.


Degno di nota e' anche uno squisito inro (contenitore che si portava appeso alla cintura) coevo con intarsi di madreperla, raffigurante su un lato un airone e sull'altro l'arcata di un ponte.

Con la nuova rotazione sara' anche reintrodotto nella stessa vetrina un emakimono (rotolo di formato lungo e stretto) firmato "Buncho", dipinto a inchiostro su seta con fusti e foglie di bambu'.


Tani Buncho (1763-1840) e' stato uno degli artisti giapponesi piu' influenti del suo tempo. Dotato di grande abilita' tecnica, riusciva a destreggiarsi con diversi stili pittorici, oltre ad avere innate qualita' per l'insegnamento e grandi conoscenze della pittura antica, sia cinese sia giapponese.

Al piano terra è possibile vedere la serie di scatti e un rapido video, realizzati da Fosco Maraini fra i primi a documentare questa particolar tradizione di pesca femminile che si svolge sulle isole di Hèkura e Mikurìa (Hegura e Mikuriya), al largo delle coste occidentali del Giappone, dove vivevano e lavoravano gli Ama, un gruppo etnico di pescatori, dai tratti culturali originali. Fra questi tratti, quello più affascinante e peculiare era la pesca di un particolare mollusco, l'awabi, che costituiva la principale occupazione dei mesi estivi e la fonte di reddito principale dell'intera comunità Ama.


A Hèkura, la pesca degli awabi era un compito tradizionalmente riservato alle donne, che la praticavano in apnea sui fondali davanti all'isola, in alcuni casi profondi anche venti metri. Il reportage di Maraini mostra le pescatrici Ama, donne dai corpi giovani e atletici, rivestite con l’indumento tradizionale, il kuroneko, mentre svolgono il loro lavoro quotidiano, che consisteva nell’immergersi in mare in apnea fino a 20 metri di profondità, utilizzando una lama ricurva per staccare il mollusco e portarlo in superficie per posarlo in un cesto galleggiante. Un mondo sconosciuto e una tradizione destinata a scomparire per sempre. Oggi esistono ancora poche donne, ormai anziane, che praticano questa pesca, ma con attrezzature diverse e moderne. Per questo il lavoro di Fosco Maraini, oltre all’innegabile qualità delle fotografie, è considerato una fondamentale testimonianza di un mondo scomparso.


Le trenta fotografie presentate al MAO saranno arricchite dalla proiezione del documentario realizzato da Maraini: il cortometraggio, più volte proiettato negli anni seguenti alla sua realizzazione, è stato considerato per lungo tempo perduto sino al recupero e al restauro avvenuto grazie all’intervento del museo delle Culture di Lugano.