Definire l’arte oggi pare complesso, con tutte le diverse mutazioni che ha subito passando da due forme definite e univoche, la pittura e la scultura, si è duplicata in infinite declinazioni. Parti stesse sono assunte a ruolo unico, vedi il disegno che da elemento di preparazione di un quadro è diventato opera a se stante.
In questo percorso di cambiamento molte declinazioni del fare sono diventate esse stesse opere; dal riciclo alla supposizione di un’idea, dalla casualità di un avvenimento alla industrializzazione di un processo su un manufatto.
Come si può oggi definire un lavoro artistico?
Basta il consenso della comunità, o forse meglio dire di un’oligarchia, ad accreditare un’opera d’”arte”?
In realtà si sta assistendo in questi ultimi anni a una ridefinizione, che superata una illusoria apertura al tutto, lentamente sta richiudendo le porte in una selezione di opere che tornano ad un’estetica formale, forse perché il nuovo grande mercato (la Cina) ama ancora questo tipo di prodotto o forse perché si è già in una fase di ripetizione sperimentale che ricicla il riciclato degli anni 80 molto “sperimentali” ma che già rimandavano alla rottura dei sessanta e via di questo passo alla noia storia del vintage anche nel mondo dell’arte.
Per una definizione di un’opera si può pensarla come “oggetto” che produce e trasforma la cultura da cui nasce e su cui si inserisce. Per cui in continua definizione e pregnanza.
Il fascino e la molteplicità di idee forse può divertirci nell’attesa della “meraviglia”.