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16/12/23

Wolfgang Laib da Lia Rumma a Milano

 


Grande emozioni ed empatie alla Galleria Lia Rumma di Milano,  con la mostra “...e vidi cose che ridire né sa né può…”, personale dell’artista tedesco Wolfgang Laib.

Il titolo è tratto da una frase contenuta nella seconda terzina del canto primo del Paradiso di Dante Alighieri, che recita nella versione integrale:

Nel ciel che più de la sua luce prende

fu’ io, e vidi cose che ridire

né sa né può chi di là sù discende

Le pagine di poesia della Divina Commedia, sono l’incipit di Wolfgang Laib per percorrere, come un novello Dante, un altrettanto viaggio ascensionale e spirituale, attraversando diverse forme di ”architetture mentali di luce”. Queste composizioni immateriali rispondono alla costante ricerca di Laib d’intravedere l’universale, l’eterno, in culture e tradizioni diverse del mondo, in pensieri e idee, uguali o simili, che appaiono in luoghi e in tempi diversi. E lo fa servendosi di materiali naturali, perché come lui stesso racconta: ”Quello che mi piace del polline, del latte e della cera d’api è che possono diventare spirituali”.



Il viaggio mistico di Wolfgang Laib si sviluppa sui tre piani della galleria. All’ingresso, a piano terra, s’incontra Zikkurat (2000), un grande ziggurat alto 4 metri completamente rivestito da lastre di cera, che con i suoi gradini, dal basso indica la direzione verso l’alto e verso lo spirituale, dal regno materiale a quello trascendentale. La forma a ziggurat è apparsa per la prima volta nel suo lavoro nel 1995 e si rifà alle antiche strutture religiose della Mesopotamia, visitate durante i suoi tanti viaggi in Medio Oriente.

Salendo al primo piano della galleria l’artista ha collocato City of Silence (2015-2023), un’installazione composta da 34 sculture in cera d’api che evocano paesaggi urbani e motivi architettonici - torri, case e ziggurat - ricorrenti nella narrativa visiva di Laib che traggono ispirazione, tra l’altro, sia dall’architettura dell’Italia medievale che dalle torri del silenzio utilizzate nei riti di scarnificazione zoroastriana nell’antica Persia. È come se l’artista ci consegnasse una sorta di città utopica e ideale di tutti e di nessuno.

Il secondo piano è dedicato al patriarca del buddismo giapponese, Kōbō Daishi: “un monaco giapponese - spiega Laib -, vissuto dal 774 all’835. La sua tomba a Koyasan è uno dei miei posti preferiti in Giappone, collocata alla fine di un cimitero un una foresta di cedri. Dietro il tempio, si trova una piccola struttura in legno con due porte chiuse. Molti pellegrini vi si recano ogni giorno, credendo che il monaco sieda in eterna meditazione dietro quelle porte”. Wolfgang Laib ha realizzato un disegno direttamente sulla parete della galleria, che si rifà all’immagine della tomba di Kōbō Daishi, con al centro le due porte gialle chiuse e circondate da onde bianche, che danno corpo e forma all’energia vitale, quasi un suono, che questo luogo sacro emana. Sulla parete opposta Pollen from Hazelnut (2023), una piccola montagna di polline, altro elemento di natura spirituale, appoggiata su di un piedistallo bianco, fa da contraltare al tempio disegnato, andando al di là del concetto di morte fisica.