In questo periodo un’articolata antologica contemporanea occupa il vasto spazio della Manica Lunga del Castello di Rivoli.
Si tratta del progetto di Fracesco Bonami ideato per l’evento “tutttovero”; un melange di opere che selezionati dai quattro principali poli culturali della città di Torino, il castello, la Gam e le fondazioni Merz e Sandretto sono proposti a un nuovo sguardo.
In questo particolare spazio si entra come in un cannocchiale in cui i pianeti vicini sono più nitidi e si guarda in prospettiva, per vedere in lontananza il futuro quotidiano che si conclude con un ritorno al presente, essendo ovviamente l’universo curvo.
Alcuni opere/pianeti paiono solidi e vitali, altri stanno per implodere e alcuni sono sicuramente dimenticati. Fra i tantissimi lavori c’è l’intenso lavoro di Ray Charles, le proposte di Dadamaino, Marisa Merz, Rebecca Horn e il delicato “Parlez moi d'Amour opera di Mario Airò.
Abbastanza ben curato nel suo complesso pecca di una certa rapidità di riflessioni e di confronti.
Molto più perplesso sono sulla mostra di Uriel Orlow presso il secondo piano. Sarà che oramai, dopo oltre un decennio, questa tipologia di ricerca fra l’artistico e l’antropologico, che ha preso piede nel campo delle arti visive, risulta svuotata sia nel valore documentativo sia nel valore estetico. Come sempre non capisco fino a che punto si faccia cultura o sia un uso di situazioni “forti” per richiamare un’attenzione che oramai è diventata ovvietà e noia estetica.
In un museo di arti visive mi aspetto opere di arte visiva, se voglio sociologia, antropologia o storia andrò altrove da chi pratica questi temi in modo professionale e non da un artista, se non nella declinazione dell'arte visiva.
Al terzo piano è in corso una mostra documentativa su Andrea Bruno, l’architetto che progettò la ristrutturazione dell’edificio del Castello.
Semplice e variegata, come la sezione permanete, che rivede la presenza del meraviglioso lavoro di Eliasson Olafur, opere che per la sua intensità si guarda sempre con molto piacere.