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16/04/12

L’arte ( non solo quella contemporanea) dalle stelle alle vetrine?



In questi ultimi decenni la cultura è lentamente scomparsa dalle pagine dei giornali, dalle trasmissioni televisive, dal dibattito sociale, trasformandosi in quella nuova realtà che la classe borghese ha raccolto sotto il nome di spettacolo. In questo grande calderone è finito tutto quello che si svolge durante il “tempo libero” cioè quando non si lavora. 

La trasformazione ha coinvolto anche l’arte che ha smesso la sua funzione narrativa e storica per tentare di trasformarsi ed inserirsi in questo nuovo universo consumistico.

I musei da luogo di raccolta, analisi e riflessione sono diventati grandi attrattori di spettatori, spesso nel senso di coloro che guardano senza capire. Luoghi che si sono attrezzati per essere usati al meglio per ospitare questa marea di gente, così sono apparsi bar, ristoranti, punti vendita di ogni ben di dio e gli stessi musei sono usati come vetrine per promuovere prodotti commerciali (dalle macchine ai vestiti).

Il mondo degli artisti, per adattarsi a questo nuovo sistema, si è messo a produrre ogni tipo di manufatto, interessati ad ogni sorta di problema/tematica possibile, dando varietà alla filiera produttiva.

Colpisce poi che le immagini sono create sempre più da chi di arte non sa proprio cosa sia, cioè non ha svolto quegli studi che fanno supporre che ci sia un legame fra la storia dell’immagine e la sua creazione artistica.
 Ma soprattutto nell’arte alla tradizioni della committenza si è aggiunto un nuovo attore che fa produrre e distribuisce “oggetti artistici” le “gallerie”.

I galleristi, forse i veri artefici del nuovo mondo dell’arte, riescono a fare cose incredibili, cioè a vendere uno scatto di una polaroid, un oggetto polveroso, una mediocre disegno, un assemblaggio da mercatino delle pulci, il cui valore reale mediamente sarebbe di pochi euro, in una miniera d’oro (ecco qui spiegato forse l’amore per il termine galleria …).

Supportati da una vasta realtà di critici, curatori, giornalisti che, spesso stipendiati proprio dalle gallerie, fantasiosamente frugano nei più reconditi universi della parola per dare giustificazione a questa trasformazione, saccheggiando di ogni senso tutto la storia culturale umana.

La cosa più affascinante di questo ampio mercato è la fantasiosa idea dell’originalità e dell’unicità, che è un’ombra di un lontano passato dove effettivamente una cosa era unica ed irripetibile. Oggi come per tutti i prodotti è solo una scelta commerciale, illusoria, che fa si che un prodotto sia realizzato in due esemplari o in centinaia di essi, variando quindi il suo valore commerciale.

 Siamo così passati dalla “meraviglia” alla “paccottiglia”, chissà quanto durerà?