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07/11/24

La grande arte italiana


Da pochi giorni alle Sale Chiablese dei Musei Reali, a Torino si è aperta una grande e inedita mostra dedicata ai capolavori dei più importanti artisti italiani del secondo dopoguerra, che sta già riscuotendo un grande successo.

L’ingente numero di opere, per un totale di 79, proviene dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma ed è riunito insieme per la prima volta fuori dal museo di appartenenza. Un’occasione straordinaria per dare vita a un progetto critico ed espositivo dal forte rigore scientifico e presentare a un ampio pubblico le testimonianze artistiche di una stagione irripetibile.

Prodotta da Musei Reali e Arthemisia con la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, la rassegna curata dalla Direttrice della GNAM Renata Cristina Mazzantini e dallo studioso Luca Massimo Barbero, è stata fortemente voluta e resa possibile da Mario Turetta, Capo Dipartimento per le Attività Culturali del Ministero della Cultura e direttore delegato dei Musei Reali di Torino.

La mostra, oltre a sottolineare il trentennale rapporto che la soprintendente Palma Bucarelli ebbe con un gruppo eccezionale di artisti, mette in risalto la ricchezza delle collezioni del museo romano ed esalta i 21 artisti più rappresentativi che hanno animato una stagione senza precedenti nel panorama dell’arte moderna italiana.

“La mostra vuole mettere in luce - ribadisce la Direttrice Renata Cristina Mazzantini - la qualità, non sempre sufficientemente percepita, delle ineguagliabili collezioni della Gnam e di porre al tempo stesso l’attenzione sul ruolo da protagonista che la Galleria rivestì nella costituzione del patrimonio artistico italiano moderno e contemporaneo, grazie soprattutto al rapporto attivo che, nei suoi tre decenni al vertice della Galleria, la soprintendente Palma Bucarelli seppe intrecciare con gli artisti più significativi e innovativi di quella così alta stagione, da Burri e Fontana fino a Pascali.”

Il percorso espositivo mette bene in evidenza le origini di quello che fu un vero e proprio “movimento artistico tellurico”. “È un percorso intenso, – dichiara Luca Massimo Barberoe, in più sale, è un vero corpo a corpo fra i “nuovi maestri” dell’arte italiana del dopoguerra, della quale si esplorano qui le radici e, per la prima volta, è possibile confrontarli al di fuori della collezione della GNAM. Per l'arte italiana si tratta dei protagonisti germinali, oggi identificati come gli interpreti internazionali dell'allora contemporaneità.

L’esposizione, suddivisa in dodici sale, si sviluppa in un avvincente percorso che propone confronti e dialoghi intercorsi negli anni del secondo dopoguerra tra gli artisti italiani più importanti, divenuti ormai irrinunciabile riferimento nel panorama artistico internazionale.

La mostra si apre con due lavori simbolici, uno di Ettore Colla Rilievo con bulloni del ‘58/’59 e un altro di Pino Pascali L’arco di Ulisse del ’68; prosegue con una sala di capolavori di Capogrossi, tra cui una monumentale Superficie del 1963. Nella sala successiva viene indagato il tema della materia, elemento di ricerca fondamentale degli anni ’50, mettendo in dialogo due Concetti spaziali-Buchi di Lucio Fontana, tra cui uno del 1949, conlo straordinario “Gobbo” del ‘50 di Alberto Burri, rare opere di Ettore Colla, opere germinali di Mimmo Rotella e la ricerca astratta di Bice Lazzari.

Due sale mettono poi a confronto due maestri dell’astrazione: Afro e Piero Dorazio, maestri che nel secondo dopoguerra contribuirono al successo dell’arte italiana negli Stati Uniti.

Il “cardine della mostra”, come dichiara il co-curatore Barbero, si ha nel confronto tra due protagonisti indiscussi: Lucio Fontana e Alberto Burri; 11 emblematiche opere entrano in dialogo e, in particolare, si stabilisce un inedito accostamento tra il Concetto spaziale. Teatrino del 1965 del primo e il Nero cretto G5 del 1975 del secondo.

Il fermento artistico e creativo che si sviluppò a Roma tra gli anni ’50 e ‘60 è rappresentato in mostra da un enorme décollage di Mimmo Rotella del 1957 e, via via, dalle opere storiche di Giosetta Fioroni, Carla Accardi, Giulio Turcato, Gastone Novelli, Toti Scialoja, Sergio Lombardo, Tano Festa. Un ulteriore inedito confronto si sviluppa tra un intenso monocromo nero di Franco Angeli e alcuni importanti Achrome di Piero Manzoni.

A testimoniare poi l’importanza della Contemporaneità, un’altra sala dedicata all’ormai iconico quadro specchiante I visitatori del 1968 di Michelangelo Pistoletto e un’ulteriore alle celebri “Cancellature” di Emilio Isgrò.




Il percorso prosegue con un emozionante dialogo tra alcune significative opere di Mario Schifano (tra cui Incidente D662 del 1963) e altrettanto straordinari lavori di Pino Pascali (come Primo piano labbra del ’64).

Quest’ultimo, dissacrante artista concettuale, è il protagonista assoluto dell’ultima sala dell’esposizione, che presenta capolavori come Ricostruzione del dinosauro del 1966 e i Bachi da setola del 1968.

“La mostra è il risultato della cooperazione tra due prestigiose istituzioni museali di rilievo nazionale, quali la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma e i Musei Reali di Torino – osserva Mario Turetta; l’offerta culturale del complesso torinese, dopo le rassegne dedicate al patrimonio archeologico per il 300° anniversario del Museo di Antichità e al sistema dell’arte barocca esemplato dalla pittura del Guercino, si arricchisce di una esposizione che intende rivolgersi a pubblici cosmopoliti, mettendoli in relazione con le principali istanze poste dall’arte contemporanea in uno straordinario periodo storico, in un territorio che si inserisce tra i principali distretti di riferimento grazie a eventi internazionali, quali Artissima e Luci d’Artista, e alla presenza di importanti raccolte, pubbliche e private.”

La mostra vede come special partner Ricola, mobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale e media partner La Stampa.






LA MOSTRA

È la prima volta che un così cospicuo numero di opere realizzate dai grandi Maestri dell’arte italiana del secondo dopoguerra esce dalle sale della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma ed entra, come un corpus coerente e organizzato, tra quelle dei Musei Reali di Torino. 

Esse testimoniano – pur nelle talvolta diametralmente opposte modalità espressive – la vivace temperie culturale italiana maturatasi tra gli anni Cinquanta e Settanta, divisa tra le ancora laceranti ferite della guerra e l’entusiasmo necessario alla ‘ricostruzione’, a cui paratatticamente rispose l’arte contemporanea. Impossibile in questa occasione non sottolineare il ruolo centrale nel dibattito artistico avuto, durante quei decenni, dalla Galleria Nazionale e, di rimando, da Palma Bucarelli, oramai ‘leggendaria’ direttrice di quell’istituzione, che ne resse le fortune dal 1941 al 1975. 

Senza citare i vari, già largamente noti episodi, vale comunque la pena citare quelli avvenuti attorno alla congiuntura del 1959, particolarmente sintomatici rispetto all’ accesa controversia tra astrattisti e realisti che coinvolse il mondo artistico, politico e intellettuale italiano. In quell’anno, infatti, l’onorevole Umberto Terracini avviava un’interrogazione parlamentare per conoscere l’importo speso dalla Galleria Nazionale per assicurarsi il Grande sacco di Alberto Burri. A queste provocazioni – reiterate a Bucarelli anche nel 1971 quando un’altra interrogazione parlamentare interessò la Merda d’artista di Piero Manzoni - la direttrice rispose con eleganza e intelligenza aprendo, nel marzo dello stesso anno, un convegno intitolato Rinnovamento delle arti in Italia e il contributo della Galleria Nazionale d’Arte Moderna che, invitando a parlare i più eminenti critici del tempo, pose il museo romano al centro di un dibattito fattivamente costruttivo in merito all’accesa querelle tra astrattisti e figurativi che la politica, invece, stava svuotando di significato. 

Questa ferrea volontà e convinzione verso le ragioni della contemporaneità portarono poi nel 1968 a inaugurare, da parte di Palma Bucarelli, uno degli allestimenti più noti della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, che è ancora oggetto di studio da parte della museologia e che aveva nelle sale monografiche dedicate ad Alberto Burri, Lucio Fontana, Ettore Colla e Giuseppe Capogrossi uno dei suoi momenti principali. Questi artisti, infatti, furono in qualche modo i ‘campioni’ della modernità dell’arte italiana del secondo dopoguerra, punto di avvio di infiniti altri filoni di ricerca che, talvolta, arrivarono a confutare del tutto le tesi di partenza su astrazione e informale – motivo per cui proprio le loro opere aprono la presente esposizione. Ma come si è voluto dimostrare nell’articolazione di questa mostra, le collezioni della Galleria Nazionale e le sue politiche di acquisizione non si cristallizzarono con il 1968. 

Già l’anno successivo, infatti, con l’ingresso di Lux9 di Nicolas Schoffer e l’allestimento di ben quattro ambienti dedicati all’arte cinetica e programmatica – nelle quali è impossibile non rilevare l’influenza di Giulio Carlo Argan, con il quale Bucarelli si confrontava fin dagli anni di studio – la Galleria Nazionale provocò la reazione di artisti attivi nella Capitale, critici rispetto alle ricerche di matrice gestaltica come Mario Schifano, Giosetta Fioroni, Gastone Novelli, Mimmo Rotella, Tano Festa o Giulio Turcato. A questi artisti nella presente esposizione è dedicato ampio spazio, proprio a testimonianza di quel particolare milieu culturale capace di generare una ‘nuova mitologia’ dell’arte italiana -, come anche di Piero Dorazio e Luigi Boille che, platealmente, il 28 marzo 1968 rimuovevano le loro opere dalle pareti per donarle agli studenti di Valle Giulia accusando la Galleria Nazionale di voler nascondere “sotto un velo di apparente modernità […] un ordine che è sempre lo stesso”. Anche se in opposizione, però, quello con questa nuova generazione di artisti non fu una chiusura, bensì un dialogo – Dorazio stesso, più tardi, ammise “che l’unico critico a quell’epoca che cercasse di capire l’importanza di quanto facevamo e dicevamo era Palma Bucarelli” – che sapeva far propri i vocaboli più nuovi dell’arte e configurarsi come un vero e proprio laboratorio del contemporaneo. 

La Galleria Nazionale, prima di qualsiasi museo nazionale, fece infatti entrare nelle sue sale i quadri specchianti di Pistoletto, le corrosive critiche al potere costituito di Franco Angeli, le provocazioni di Piero Manzoni e, a meno di un anno dal suo tragico incidente in motocicletta, l’opera di Pino Pascali. Il suo lavoro chiude significativamente la presente mostra anche in virtù dell’essere stato un punto di avvio per quella situazione artistica che si riconobbe nella definizione di Arte Povera, che ebbe proprio qui, a Torino, un suo luogo d’elezione – con un’importante monografica grazie alla quale Bucarelli poté celebrare anche la capacità anti-museale che era riuscita a costruire all’interno della Galleria Nazionale, capace di smentire ed invalidare il “culto reverenziale dell’oggetto d’arte fatto per l’eternità”. Così, il percorso di questa mostra vuole consegnare al pubblico di oggi coloro che furono i Nuovi Maestri dell’arte moderna e contemporanea italiana, internazionalmente riconosciuti e capaci, attraverso la loro opera, di segnare profondamente il XX secolo.