Da pochi giorni alle Sale Chiablese dei Musei Reali, a Torino si è aperta una grande e inedita mostra dedicata ai capolavori dei più importanti artisti italiani del secondo dopoguerra, che sta già riscuotendo un grande successo.
L’ingente numero di opere, per un totale di 79, proviene dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma ed è riunito insieme per la prima volta fuori dal museo di appartenenza.
Un’occasione straordinaria per dare vita a un progetto critico ed
espositivo dal forte rigore scientifico e presentare a un ampio pubblico
le testimonianze artistiche di una stagione irripetibile.
Prodotta da Musei Reali e Arthemisia con la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea, la rassegna curata dalla Direttrice della GNAM Renata Cristina Mazzantini e dallo studioso Luca Massimo Barbero, è stata fortemente voluta e resa possibile da Mario Turetta, Capo Dipartimento per le Attività Culturali del Ministero della Cultura e direttore delegato dei Musei Reali di Torino.
La
mostra, oltre a sottolineare il trentennale rapporto che la
soprintendente Palma Bucarelli ebbe con un gruppo eccezionale di
artisti, mette in risalto la ricchezza delle collezioni del museo romano
ed esalta i 21 artisti più rappresentativi che hanno animato una stagione senza precedenti nel panorama dell’arte moderna italiana.
“La mostra vuole mettere in luce - ribadisce la Direttrice Renata Cristina Mazzantini - la
qualità, non sempre sufficientemente percepita, delle ineguagliabili
collezioni della Gnam e di porre al tempo stesso l’attenzione sul ruolo
da protagonista che la Galleria rivestì nella costituzione del
patrimonio artistico italiano moderno e contemporaneo, grazie
soprattutto al rapporto attivo che, nei suoi tre decenni al vertice
della Galleria, la soprintendente Palma Bucarelli seppe intrecciare con
gli artisti più significativi e innovativi di quella così alta stagione,
da Burri e Fontana fino a Pascali.”
Il percorso espositivo mette bene in evidenza le origini di quello che fu un vero e proprio “movimento artistico tellurico”. “È un percorso intenso, – dichiara Luca Massimo Barbero – e,
in più sale, è un vero corpo a corpo fra i “nuovi maestri” dell’arte
italiana del dopoguerra, della quale si esplorano qui le radici e, per
la prima volta, è possibile confrontarli al di fuori della collezione
della GNAM. Per l'arte italiana si tratta dei protagonisti
germinali, oggi identificati come gli interpreti internazionali
dell'allora contemporaneità.”
L’esposizione, suddivisa in dodici sale,
si sviluppa in un avvincente percorso che propone confronti e dialoghi
intercorsi negli anni del secondo dopoguerra tra gli artisti italiani
più importanti, divenuti ormai irrinunciabile riferimento nel panorama
artistico internazionale.
La mostra si apre con due lavori simbolici, uno di Ettore Colla Rilievo con bulloni del ‘58/’59 e un altro di Pino Pascali L’arco di Ulisse del ’68; prosegue con una sala di capolavori di Capogrossi, tra cui una monumentale Superficie
del 1963. Nella sala successiva viene indagato il tema della materia,
elemento di ricerca fondamentale degli anni ’50, mettendo in dialogo due
Concetti spaziali-Buchi di Lucio Fontana, tra cui uno del 1949, conlo straordinario “Gobbo” del ‘50 di Alberto Burri, rare opere di Ettore Colla, opere germinali di Mimmo Rotella e la ricerca astratta di Bice Lazzari.
Due sale mettono poi a confronto due maestri dell’astrazione: Afro e Piero Dorazio, maestri che nel secondo dopoguerra contribuirono al successo dell’arte italiana negli Stati Uniti.
Il “cardine della mostra”, come dichiara il co-curatore Barbero, si ha nel confronto tra due protagonisti indiscussi: Lucio Fontana e Alberto Burri; 11 emblematiche opere entrano in dialogo e, in particolare, si stabilisce un inedito accostamento tra il Concetto spaziale. Teatrino del 1965 del primo e il Nero cretto G5 del 1975 del secondo.
Il
fermento artistico e creativo che si sviluppò a Roma tra gli anni ’50 e
‘60 è rappresentato in mostra da un enorme décollage di Mimmo Rotella del 1957 e, via via, dalle opere storiche di Giosetta Fioroni, Carla Accardi, Giulio Turcato, Gastone Novelli, Toti Scialoja, Sergio Lombardo, Tano Festa. Un ulteriore inedito confronto si sviluppa tra un intenso monocromo nero di Franco Angeli e alcuni importanti Achrome di Piero Manzoni.
A testimoniare poi l’importanza della Contemporaneità, un’altra sala dedicata all’ormai iconico quadro specchiante I visitatori del 1968 di Michelangelo Pistoletto e un’ulteriore alle celebri “Cancellature” di Emilio Isgrò.
Il percorso prosegue con un emozionante dialogo tra alcune significative opere di Mario Schifano (tra cui Incidente D662 del 1963) e altrettanto straordinari lavori di Pino Pascali (come Primo piano labbra del ’64).
Quest’ultimo,
dissacrante artista concettuale, è il protagonista assoluto dell’ultima
sala dell’esposizione, che presenta capolavori come Ricostruzione del dinosauro del 1966 e i Bachi da setola del 1968.
“La
mostra è il risultato della cooperazione tra due prestigiose
istituzioni museali di rilievo nazionale, quali la Galleria Nazionale
d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma e i Musei Reali di Torino – osserva Mario Turetta –;
l’offerta culturale del complesso torinese, dopo le rassegne dedicate
al patrimonio archeologico per il 300° anniversario del Museo di
Antichità e al sistema dell’arte barocca esemplato dalla pittura del
Guercino, si arricchisce di una esposizione che intende rivolgersi a
pubblici cosmopoliti, mettendoli in relazione con le principali istanze
poste dall’arte contemporanea in uno straordinario periodo storico, in
un territorio che si inserisce tra i principali distretti di riferimento
grazie a eventi internazionali, quali Artissima e Luci d’Artista, e alla presenza di importanti raccolte, pubbliche e private.”
La mostra vede come special partner Ricola, mobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale e media partner La Stampa.
LA MOSTRA
È
la prima volta che un così cospicuo numero di opere realizzate dai
grandi Maestri dell’arte italiana del secondo dopoguerra esce dalle sale
della Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma ed
entra, come un corpus coerente e organizzato, tra quelle dei
Musei Reali di Torino.
Esse testimoniano – pur nelle talvolta
diametralmente opposte modalità espressive – la vivace temperie
culturale italiana maturatasi tra gli anni Cinquanta e Settanta, divisa
tra le ancora laceranti ferite della guerra e l’entusiasmo necessario
alla ‘ricostruzione’, a cui paratatticamente rispose l’arte
contemporanea. Impossibile in questa occasione non sottolineare il ruolo
centrale nel dibattito artistico avuto, durante quei decenni, dalla
Galleria Nazionale e, di rimando, da Palma Bucarelli, oramai
‘leggendaria’ direttrice di quell’istituzione, che ne resse le fortune
dal 1941 al 1975.
Senza citare i vari, già largamente noti episodi, vale
comunque la pena citare quelli avvenuti attorno alla congiuntura del
1959, particolarmente sintomatici rispetto all’ accesa controversia tra astrattisti e realisti
che coinvolse il mondo artistico, politico e intellettuale italiano. In
quell’anno, infatti, l’onorevole Umberto Terracini avviava
un’interrogazione parlamentare per conoscere l’importo speso dalla
Galleria Nazionale per assicurarsi il Grande sacco di Alberto
Burri. A queste provocazioni – reiterate a Bucarelli anche nel 1971
quando un’altra interrogazione parlamentare interessò la Merda d’artista
di Piero Manzoni - la direttrice rispose con eleganza e intelligenza
aprendo, nel marzo dello stesso anno, un convegno intitolato Rinnovamento delle arti in Italia e il contributo della Galleria Nazionale d’Arte Moderna
che, invitando a parlare i più eminenti critici del tempo, pose il
museo romano al centro di un dibattito fattivamente costruttivo in
merito all’accesa querelle tra astrattisti e figurativi che la
politica, invece, stava svuotando di significato.
Questa ferrea volontà e
convinzione verso le ragioni della contemporaneità portarono poi nel
1968 a inaugurare, da parte di Palma Bucarelli, uno degli allestimenti
più noti della Galleria Nazionale d’Arte Moderna, che è ancora oggetto
di studio da parte della museologia e che aveva nelle sale monografiche
dedicate ad Alberto Burri, Lucio Fontana, Ettore Colla e Giuseppe
Capogrossi uno dei suoi momenti principali. Questi artisti, infatti,
furono in qualche modo i ‘campioni’ della modernità dell’arte italiana
del secondo dopoguerra, punto di avvio di infiniti altri filoni di
ricerca che, talvolta, arrivarono a confutare del tutto le tesi di
partenza su astrazione e informale – motivo per cui proprio le loro
opere aprono la presente esposizione. Ma come si è voluto dimostrare
nell’articolazione di questa mostra, le collezioni della Galleria
Nazionale e le sue politiche di acquisizione non si cristallizzarono con
il 1968.
Già l’anno successivo, infatti, con l’ingresso di Lux9
di Nicolas Schoffer e l’allestimento di ben quattro ambienti dedicati
all’arte cinetica e programmatica – nelle quali è impossibile non
rilevare l’influenza di Giulio Carlo Argan, con il quale Bucarelli si
confrontava fin dagli anni di studio – la Galleria Nazionale provocò la
reazione di artisti attivi nella Capitale, critici rispetto alle
ricerche di matrice gestaltica come Mario Schifano, Giosetta
Fioroni, Gastone Novelli, Mimmo Rotella, Tano Festa o Giulio Turcato. A
questi artisti nella presente esposizione è dedicato ampio spazio,
proprio a testimonianza di quel particolare milieu culturale
capace di generare una ‘nuova mitologia’ dell’arte italiana -, come
anche di Piero Dorazio e Luigi Boille che, platealmente, il 28 marzo
1968 rimuovevano le loro opere dalle pareti per donarle agli studenti di
Valle Giulia accusando la Galleria Nazionale di voler nascondere “sotto
un velo di apparente modernità […] un ordine che è sempre lo stesso”.
Anche se in opposizione, però, quello con questa nuova generazione di
artisti non fu una chiusura, bensì un dialogo – Dorazio stesso, più
tardi, ammise “che l’unico critico a quell’epoca che cercasse di capire
l’importanza di quanto facevamo e dicevamo era Palma Bucarelli” – che
sapeva far propri i vocaboli più nuovi dell’arte e configurarsi come un
vero e proprio laboratorio del contemporaneo.
La Galleria Nazionale,
prima di qualsiasi museo nazionale, fece infatti entrare nelle sue sale i
quadri specchianti di Pistoletto, le corrosive critiche al
potere costituito di Franco Angeli, le provocazioni di Piero Manzoni e, a
meno di un anno dal suo tragico incidente in motocicletta, l’opera di
Pino Pascali. Il suo lavoro chiude significativamente la presente mostra
anche in virtù dell’essere stato un punto di avvio per quella
situazione artistica che si riconobbe nella definizione di Arte Povera,
che ebbe proprio qui, a Torino, un suo luogo d’elezione – con
un’importante monografica grazie alla quale Bucarelli poté celebrare
anche la capacità anti-museale che era riuscita a costruire all’interno
della Galleria Nazionale, capace di smentire ed invalidare il “culto
reverenziale dell’oggetto d’arte fatto per l’eternità”. Così, il
percorso di questa mostra vuole consegnare al pubblico di oggi coloro
che furono i Nuovi Maestri dell’arte moderna e contemporanea italiana,
internazionalmente riconosciuti e capaci, attraverso la loro opera, di
segnare profondamente il XX secolo.