La galleria Alfonso Artiaco di Napoli propone due mostre sul minimalismo, una sul lavoro di Sol LeWitt che è caratterizzato dall'utilizzo di diverse tecniche che gli hanno permesso di trovare il giusto compromesso tra qualità percettiva e concettuale, tra la semplicità dell'ordine geometrico e la ricerca della bellezza e della creazione intuitiva.
La sua ricerca artistica si sviluppa attraverso i suoi famosi disegni murali e strutture geometriche. Ha decostruito il concetto di autorialità legato alla realizzazione dell'opera, riconoscendo la preminenza non alla mano, ma alla mente che l'ha concepita. Parallelamente l'artista ha prodotto numerose opere su carta nel corso della sua carriera.
L'esposizione si concentra su opere mai esposte prima ed eseguite tra il 1992 e il 2005, periodo in cui LeWitt decise di dedicarsi maggiormente alla pittura. La tecnica che utilizza è la tempera su carta, pittura opaca all'acqua, dalla quale è affascinato dagli anni '80.
I suoi studi lo hanno portato verso la definizione di forme meno rigide, articolate attraverso la creazione di profondità spaziali. Il risultato sono opere astratte composte da pennellate fluide e fluide.
L'artista trasforma così le idee in incarnazioni visive, manifestazioni visibili di sistemi e regole che creativamente si mescolano tra loro, dando origine a una moltitudine di combinazioni. Linee, forme, colori e volumi stabiliscono un sottile equilibrio tra pensiero e forma, tra ordine e disordine, autorialità e anonimato. Il suo lavoro si articola attraverso strutture mentali e visive concrete in una ricerca costante che gli ha permesso di rinnovarsi costantemente.
I titoli delle opere esposte richiamano la tecnica sopra descritta: Pennellate, Linee Orizzontali e Forma Irregolare. Come le linee orizzontali in una virtuosa sovrapposizione creano una percezione tridimensionale dalla superficie piana del foglio, così le forme irregolari definite da cromie contrastanti conferiscono alla forma una condizione percettiva prominente. Le sue opere si rivelano così come strutture che prendono vita attraverso l'idea, sfidando l'assuefazione dell'artista alla propria abilità manuale.
Parallelamente c'è una selezione di opere di Michael Venezia, che si è formato negli ambienti della New York minimalista concettuale di fine anni ’60 inizio anni ’70 con artisti come Robert Ryman, Dan Flavin e Sol LeWitt. Mentre questi ultimi hanno condotto la loro ricerca più verso la scultura e l’installazione, Venezia si è sempre dedicato alla pittura.
Ha iniziato la sua produzione realizzando lavori a sviluppo verticale ed è stato tra i primi artisti a lavorare con la pistola a spray sulla tela, introducendo in quella dimensione di calcolata progettualità della composizione la casualità della pittura a spruzzo. Nel tempo la sua attenzione si è spostata dal centro ai margini.
Durante una visita al suo corniciaio di fiducia in Umbria, vicino alla sua residenza, l’artista vede sul pavimento un ceppo di quercia e decide di acquistarlo. Arrivato in studio, ne dipinge solamente un lato lungo. Così la base dell’opera si assottiglia. La pittura migra dall’ampia tela al pezzo di legno squadrato, memore del telaio. Per l’artista, il blocco di legno rappresenta una nuova superficie che restringe il campo visivo.
L’artista americano fa il suo primo ingresso in galleria con una serie di opere appartenenti alla cosiddetta Block Painting. Si pone l’accento sul fatto che i frammenti lignei non siano sculture, proprio perché l’area dipinta è una soltanto e lo sguardo tende a concentrarsi su di esso senza vagare alla ricerca della profondità, data dalla materia. L’artista, componendo le opere con tre elementi, fa esplicito riferimento ai trittici religiosi del periodo gotico, soprattutto quelli realizzati da Giotto e Cimabue.
I suoi lavori non si basano su un progetto predefinito ma sulla casualità. Infatti, i blocchi di legno spesso vengono dipinti in un primo momento e poi archiviati in attesa di essere ripresi dall’artista in seguito, anche dopo anni. Venezia si lascia guidare dall’intuito per unire i pezzi. L’opera si definisce quando l’artista sceglie la composizione. Lo spettatore vede momenti di vita e di ricerca che dialogano in una continuità che pare programmata, ma in realtà ogni parte è origine o evoluzione dell’altra.