CS
C’era una volta una stanza vista dall’alto – bird’s eye view, come la chiamano – e in questa stanza con vista a volo d’uccello succedevano cose come succedono cose in quasi tutte le stanze, viste dall’alto oppure no.
A volte le cose succedono senza il benché minimo intervento di fattori esterni. Come quando un frammento d’intonaco decide di cadere o un raggio di luce cambia posizione e smette d’illuminare una porzione di pavimento o di muro.
Altre volte le cose che succedono, succedono perché qualcuno le fa succedere. Ad esempio quando la mosca, stanca del proprio riposo, riprende il suo volare ansioso. O se una porta si apre – una porta ci deve pur essere! – e qualcuno attraversa la stanza rendendola improvvisamente un oggetto.
Ed ecco il punto: comunque succedano le cose, il fatto stesso che succedono provoca una trasformazione. Così come all’inciampare ti rendi conto del sasso ma soprattutto del tuo piede, allo stesso modo è solo una volta che la stanza vista dall’alto diventa oggetto che ci si accorge come prima non lo fosse per niente, come fosse pura immagine piana.
Con questo voglio dire che una stanza vista dall’alto è per natura una superficie scevra di qualunque profondità o prospettiva… un piano che non contempla alcun movimento o dinamismo e che rivendica un unico prerequisito: lo sguardo. E se ogni stanza vista dall’alto presuppone uno sguardo, ogni sguardo presuppone uno spettatore… qualsiasi spettatore, anche solo un fantomatico uccello con bird’s eye view.
E così c’era una volta una stanza vista dall’alto in cui a volte succedevano cose e a volte no, ma il cui vero protagonista erano gli spettatori di quella stessa stanza vista dall’alto… o meglio: stanze, al plurale… tante quante le teste che osservano un’immagine. Piatta. Muta. Immensa. Essenziale. Potenziale. Semplice. Inesauribile. Uno specchio.
C’era una volta una stanza vista dall’alto – bird’s eye view, come la chiamano – e in questa stanza con vista a volo d’uccello succedevano cose come succedono cose in quasi tutte le stanze, viste dall’alto oppure no.
A volte le cose succedono senza il benché minimo intervento di fattori esterni. Come quando un frammento d’intonaco decide di cadere o un raggio di luce cambia posizione e smette d’illuminare una porzione di pavimento o di muro.
Altre volte le cose che succedono, succedono perché qualcuno le fa succedere. Ad esempio quando la mosca, stanca del proprio riposo, riprende il suo volare ansioso. O se una porta si apre – una porta ci deve pur essere! – e qualcuno attraversa la stanza rendendola improvvisamente un oggetto.
Ed ecco il punto: comunque succedano le cose, il fatto stesso che succedono provoca una trasformazione. Così come all’inciampare ti rendi conto del sasso ma soprattutto del tuo piede, allo stesso modo è solo una volta che la stanza vista dall’alto diventa oggetto che ci si accorge come prima non lo fosse per niente, come fosse pura immagine piana.
Con questo voglio dire che una stanza vista dall’alto è per natura una superficie scevra di qualunque profondità o prospettiva… un piano che non contempla alcun movimento o dinamismo e che rivendica un unico prerequisito: lo sguardo. E se ogni stanza vista dall’alto presuppone uno sguardo, ogni sguardo presuppone uno spettatore… qualsiasi spettatore, anche solo un fantomatico uccello con bird’s eye view.
E così c’era una volta una stanza vista dall’alto in cui a volte succedevano cose e a volte no, ma il cui vero protagonista erano gli spettatori di quella stessa stanza vista dall’alto… o meglio: stanze, al plurale… tante quante le teste che osservano un’immagine. Piatta. Muta. Immensa. Essenziale. Potenziale. Semplice. Inesauribile. Uno specchio.