Per ricordare i trent’anni dalla strage di via Palestro il PAC propone con un’edizione speciale del format PERFORMING PAC dedicato al rapporto tra arte contemporanea e memoria. Dal 25 al 30 luglio ingresso gratuito con contenuti speciali.
A trent’anni dall’attentato di matrice terroristico-mafiosa che distrusse il Padiglione milanese la notte del 27 luglio 1993, il PAC dedica l’edizione 2023 di PERFORMING PAC a una riflessione sulla memoria, sulle memorie che oggi sono plurali e non possono esser lette solo con la lente storica o nazionalistica, ma anche attraverso elaborazioni personali e individuali, di singole comunità o piccoli gruppi d’appartenenza.
La mostra, a cura del comitato scientifico del PAC, è promossa dal Comune di Milano Cultura e prodotta dal PAC con Silvana Editoriale.
Douglas Gordon, k.364, 2011Still da video Courtesy l’artista e Gagosian © Douglas Gordon, by SIAE 2023
I lavori di nove artisti, per la maggior parte video, e una piccola mostra “flashback” – che analogamente alle edizioni precedenti prende avvio dai materiali dell’Archivio storico del PAC – esemplificano come la ricerca di nuovi spazi della memoria, o “lieux de mémoire” nella definizione dello storico francese Pierre Nora, abbia trasformato il concetto di commemorazione, mostrando in che modo la reminiscenza possa perpetuarsi in diverse modalità d’intervento e narrazione. Titolo della mostra Dance Me To The End Of Love, una citazione dalla canzone di Leonard Cohen del 1984 dove l’arte diventa veicolo di memoria, capace di sopravvivere a ogni crudeltà.
Partendo quindi dall’archivio con il racconto della mostra ULTIME NOTIZIE. Christian Boltanski - curata da Jean-Hubert Martin al PAC nel 2005 - i visitatori potranno confrontarsi con le opere di Maja Bajevic, Yael Bartana, Maurizio Cattelan, Clemencia Echeverri, Miguel Gomes, Douglas Gordon e Giulio Squillacciotti, mentre una performance di Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini inaugurera la mostra la sera del 10 luglio.
A completare il percorso, una timeline curata dai giornalisti d’inchiesta Simona Zecchi e Marco Bova ricostruisce gli avvenimenti della strage di via Palestro ripercorrendo le fasi dell’attentato. La ricerca dei due giornalisti si è focalizzata sulla raccolta di fatti noti e meno noti per ricostruire sotto forma di piccoli ritagli cronologici gli anni ‘92-’93 e per certi aspetti anche il ‘94. Emeroteche, archivi di quotidiani anche online e fondi archivistici sono stati rielaborati giornalisticamente, affiancati da eventi di respiro internazionale, nel tentativo di disegnare un quadro recente di grandi cambiamenti. In mostra anche alcuni filmati della Biblioteca Rai di Viale Mazzini che hanno segnato la narrazione del 1993.
Dal 25 al 30 luglio il PAC resterà aperto ad ingresso gratuito con una serie di iniziative speciali in occasione dei trent’anni dalla strage di via Palestro. In questa settimana la mostra si arricchisce infatti di una sezione realizzata in collaborazione con il Comando dei Vigili del Fuoco, che attraverso materiale fotografico d’archivio e un video documentario ricorda la perdita dei tre colleghi Stefano Picerno, Sergio Pasotto e Carlo La Catena. Nel cortile del PAC l’autopompa intervenuta la notte dell’attentato diventerà un’installazione attraverso un video e alcune tracce audio delle comunicazioni tra la squadra che intervenne sul posto e la sala operativa.
Il 25 luglio un talk ricorderà la personale di Mario Nigro prevista proprio nel luglio 1993 e mai realizzata per via dell’esplosione, mentre il 27 luglio un talk approfondirà le indagini sulle stragi del ‘93.
La mostra è realizzata grazie a Tod’s, sponsor dell’attività annuale del PAC, e PwC Italia, sponsor della mostra, con il sostengo di LCA e il supporto di Vulcano.
Maja Bajevic, Green, Green Grass of Home, 2002
Still da video, Courtesy l’artista e Galerie Peter Kilchmann, Zurigo, Parigi. © Maja Bajevic, by SIAE 2023
LE OPERE IN MOSTRA
Si parte dall’Archivio, a sua volta deposito di memoria, e dalla mostra ULTIME NOTIZIE. Christian Boltanski, curata da Jean-Hubert Martin al PAC nel 2005, incentrata sul concetto di “tempo” che inesorabilmente fluisce, mentre il ricordo diventa traccia del fragile e instabile passaggio dell’uomo. L’esposizione è ricostruita attraverso documenti, fotografie e con la riproposizione dell’opera Entre-Temps (Nel frattempo), video-installazione che presenta in sequenza le immagini fotografiche del volto dell’artista nelle diverse tappe della sua vita, tra desideri di eternità e inesorabile oblio.
Il tema dell’archivio è centrale nell’installazione video del 2017 La Storia, in generale di Giulio Squillacciotti. Nell’opera in mostra, l’artista si concentra su tre archivi torinesi di Arte Irregolare – il Museo di Antropologia ed Etnografia dell’Università degli Studi di Torino, quello di opere realizzate nell’ex Regio Manicomio di Collegno e l’Archivio “Mai Visti e Altre Storie” della Città di Torino – mappando le tracce di alterità e svelando il potenziale narrativo delle fonti primarie attraverso la loro reinvenzione in contesti diversi tra finzione e fatti storici.
Il titolo della mostra Dance Me To The End Of Love è invece una citazione da una canzone di Leonard Cohen del 1984 ispirata al dramma della Shoah. In un’intervista Cohen spiegava: «La canzone è nata sentendo i racconti dei sopravvissuti dai campi della morte. Accanto ai forni crematori, in alcuni Lager, un quartetto d’archi era costretto a suonare mentre si consumava questo orrore. Un orrore che sarebbe diventato il destino anche degli stessi musicisti. Suonavano quando i loro compagni morivano». Ma nei versi della canzone il dramma sembra scomparire nella missione salvifica e pacifica dell’arte come veicolo di memoria, capace di sopravvivere a ogni crudeltà.
L’irrappresentabilità del dramma della Shoah aveva del resto già suscitato negli anni Settanta un’accesa controversia a partire dal dibattito sul ruolo del monumento inteso come specchio di una problematica cognizione d’identità storica e di legittimazione nazionale, nonché di ripensamento delle colpe del passato. Sulle rimozioni dell’inconscio collettivo, le relazioni di potere e le politiche della memoria, lavora l’artista israeliana Yael Bartana. Con la grande installazione audio e video del 2021 Malka Germania (ebraico per “Regina Germania”), l’artista riporta alla luce, attraverso un “Messia” d’aspetto androgino, le paure, i sogni, i traumi repressi e i ricordi del passato della città di Berlino.
Il potere della musica è il cuore del film K364 dell’artista scozzese Douglas Gordon, del 2011, che ripercorre il viaggio compiuto da Avri Levitan e Roi Shiloach – due violinisti di origine ebrea polacca – per ritornare alle terre da cui i loro genitori dovettero scappare nel 1939 in fuga dal nazismo: un “viaggio a ritroso” verso la Polonia, per eseguire nella sala da concerti di Varsavia la Sinfonia Concertante in Mi bemolle maggiore (conosciuta anche come K364) di Mozart con l’Orchestra da Camera Amadeus della Radio Polacca.
Nell’opera del 2013 Redemption il portoghese Miguel Gomes intreccia memoria personale e collettiva, recuperando immagini di repertorio, molte delle quali in super 8, e creando una collisione con i ricordi personali di quattro personaggi di altrettanti paesi europei: la lettera d’un bambino portoghese all’epoca della caduta dell’impero coloniale, il primo amore di un vecchio milanese, la confessione d’un francese della propria incapacità di essere padre, lo sforzo di una sposa tedesca di togliersi dalla testa il motivo dominante del Parsifal di Wagner.
Tra memoria personale e collettiva lavora anche la performance Così lontano così vicino di Ottonella Mocellin e Nicola Pellegrini che si terrà in occasione dell’opening lunedì 10 luglio: un progetto che prende spunto da uno scambio epistolare avvenuto durante la Seconda Guerra Mondiale tra la nonna e il nonno di Ottonella Mocellin. Lui deportato in Germania, lei a casa con i figli. Durante la performance i due artisti leggono le lettere senza potersi vedere l’un l’altro, mentre in sottofondo reperti sonori dell’epoca - discorsi di Mussolini, Turati, PioX, Hitler, canti dei campi di concentramento, canzoni fasciste e altri suoni - creano uno scenario evocativo e coinvolgente.
Nell’installazione Green, Green Grass of Home del 2002, la bosniaca Maja Bajevic cammina su un prato ricostruendo virtualmente il perimetro della casa dei nonni, dove lei stessa aveva vissuto: un esercizio mnemonico tra autobiografia, ritorno alle origini e riattivazione della memoria, una sorta di mappatura mentale dettata da un esilio imposto dai conflitti che continuavano ad attanagliare l’ex-Jugoslavia.
Nella video installazione Treno del 2007, la colombiana Clemencia Echeverri riprende il tumultuoso fiume Cauca come un lamento funebre. Si tratta di una metafora per confrontarsi con la situazione politica nella campagna colombiana, dove spesso le vittime del conflitto armato sono scomparse, gettate nel fiume, impedendo alle loro famiglie di sapere dove sono finite le loro vite.
In mostra anche due opere di Maurizio Cattelan - realizzate nel 1994 a distanza di un anno dall’attentato di via Palestro - che utilizzano oggetti quotidiani, parte dell’immaginario collettivo, come veicoli per la costruzione della memoria. La prima, Untitled, è un bouquet di fazzoletti annodati con una calza di nylon femminile, che metaforicamente intendono raccogliere e asciugare le lacrime non solo dei familiari delle vittime, ma della città stessa di Milano. La seconda, Souvenir di Milano, è a tutti gli effetti un ready made: la macchinetta fotografica, tipico souvenir degli anni Ottanta e Novanta, da cui i bambini potevano ammirare le cartoline delle città più famose viene decontestualizzata e il suo contenuto modificato con le immagini del PAC distrutto.