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20/04/10

Pensieri sull’arte – La finzione del mercato (3)




Come in tutti i sistemi di mercato si è assistito a una sovrapproduzione e a un esubero di produttori (artisti?) che sono controllati da una rete distributiva che si è assottigliata e potenziata. Creando così una limitata categoria di promozione (le gallerie private e case d’aste vivono in un regime quasi oligarchico) che ha un forte controllo sui canali informativi e sui processi di valorizzazione. Essi agiscono su musei (guardiamo al caso più eclatante di certi musei, anche di fama internazionale, dove in questi ultimi anni tutti gli artisti di alcune gallerie vengono selezionati per estemporanee esposizioni, senza nessun legame/senso con il luogo), fiere (dove il comitato di selezione è esso stesso regimentato da gallerie che in tal modo selezionano solo associati o filiere comuni), eventi culturali, biennali etc... in un numero vertiginoso, dove però compaiono sempre gli stessi nomi corredati di un piccolo numero di finte novità o di ripescamenti al limite dell’etnografico. Fra le tante cose colpisce la mancanza di trasparenza e d’informazione, sempre parziale o assente, soprattutto quando si tratta di affrontare gli aspetti economici.

Tutto questo mercanteggiare, se legittimo sotto l’aspetto commerciale, risulta stridente col senso dell’Arte, soprattutto quando per giustificare questo sciatto presente si ricorre ad un “nobile” passato, in cui veramente l’artista era artista e l’opera d’arte era Arte. Ma ci sono voluti anni perché si formassero, spesso dopo lunghe e formative costruzioni di identità e pensieri. Oggi non c’è più tempo per la maturità e il lavoro, tutto deve vivere la fuggevolezza del nulla, per cui giustamente si selezionano giovani artisti che non sanno nulla e hanno sperimentato ben poco, funziona perfettamente.

I gironi infernali del potere commerciale vedono in un gruppo ristretto di gallerie il vertice, soprattutto anglo/americane, che legittima e occupa il ruolo dell’artista che diventato ormai un elemento secondario, si trova a dover percorrere una strada in salita e assolutamente non meritocratica. A seguire questa sommità una serie di anelli di valore, concatenata da relazioni e scambi di “servizi”, via via inferiori, fino agli spazi no-profit che forse sono l’unica vera realtà autenticamente artistica.

Ma il gioco ha presa sulla massa di consumatori (definiti con l’enfatico nome di “collezionisti”), alquanto ignari di cosa è Arte, ma molto ambiziosi di poterne vivere le enfasi del glorioso passato e poter partecipare alla moltitudine di eventi “artistici” che sempre più compaiono sulle pagine del gossip e del “buon vivere”. E allora via a spettacoli, film e teatri d’arte che sanno più d’intrattenimento, ma che raramente giungono ad una parvenza dignitosa di ciò che imitano. Ma il mercato non ha come suo obiettivo fare cultura ma fare soldi per cui ogni strategie è più che legittima.

Ed è proprio qui la chiave di soluzione, giustamente le gallerie devo dare sviluppo alle proprie strategie, ma dovrebbero lasciare agli artisti un tempo di creazione libero e non vincolarli troppo alle necessità più economiche, solo facendo una scelta di qualità nel tempo tutto il sistema potrà riprendersi il valore e il pregio di sempre. Agli artisti compete il ruolo e la responsabilità delle creazione alle gallerie quello della commercializzazione, nessuno se ne scandalizza, ma in questi ultimi anni necessità più economiche hanno bruciato lo spazio del pensare, dell’elaborare, del creare. In tal modo tutto ha preso una piega di sfalsamento e di confusione, in parte anche positiva, che alla lunga però ha eroso tutto rischiando un autogoal.


continua...