I campi magnetici è il bel titolo che Cecilia Alemani ha usato
per la stupenda mostra presso gli spazi della galleria Giò Marconi di Milano, aperta
fino al 19 Luglio.
Una bella collettiva che miscela arte storica e figure
più contemporanee, sicuramente ma non perderla.
Foto della Galleria Giò Marconi di Milano
CS
Nel 1919 André Breton e Paul Soupault conducono uno dei
primi leggendari esperimenti di scrittura automatica: per intere giornate e
notti insonni Breton e Soupault scrivono testi a quattro mani, seguendo libere
associazioni e spericolati accostamenti verbali, cercando di svincolarsi dal
controllo della ragione. Questi pensieri in libertà vengono raccolti nella
pubblicazione I campi magnetici, apparsa nel 1920, qualche anno prima della
nascita ufficiale del surrealismo consacrata dal manifesto del 1924. I campi
magnetici può essere considerata la prima opera letteraria basata sulla
scrittura automatica: raccoglie infatti un flusso ininterrotto di testi intrisi
di immagini che sgorgano dall’inconscio – sogni, allucinazioni e desideri
profondi, lontani dalla logica utilitaristica del linguaggio comune, a favore
invece di una narrazione ricca e generativa di nuovi legami con la realtà.
A cent’anni di distanza, la mostra I campi magnetici
prende spunto da questo essenziale testo surrealista per intessere un dialogo
tra diverse generazioni di artisti che usano la rappresentazione del corpo e
delle sue metamorfosi come veicoli per riflettere su tematiche quali l’identità
e il desiderio.
Mettendo a confronto le opere di artisti storici come Man
Ray con quelle di vari eredi della sensibilità surrealista quali Enrico Baj,
Richard Hamilton e Louise Nevelson, la mostra I campi magnetici introduce anche
il lavoro di vari giovani artisti che praticano una forma di neo-surrealismo,
mescolando un rinnovato interesse per la figurazione con tensioni più oscure o,
alternativamente, con un senso solare di meraviglia e stupore.
Foto della Galleria Giò Marconi di Milano
Attraverso un fitto dialogo inter-generazionale, la
mostra registra le forze di attrazione e repulsione che intrecciano a distanza
le opere di vari artisti contemporanei e moderni, collegando maestri del
ventesimo secolo e giovani promesse dell’arte internazionale. La mostra funge
così anche da biografia intellettuale della Galleria Marconi, innestando
sull’eredità storica dello Studio Marconi l’instancabile ricerca di nuovi
talenti di Gió Marconi.
Curata da Cecilia Alemani, la mostra si focalizza sulla
rappresentazione del corpo – e, in particolare, del corpo femminile – per analizzare
e contrastare diverse concezioni della sessualità e della definizione del sé.
Tra feticci e totem, la mostra I campi magnetici mette in scena molteplici
anatomie fantastiche, in cui il corpo è rappresentato in un flusso costante di
trasformazione: dispossessato, dematerializzato, e ricomposto. Installata come
una camera delle meraviglie – o una “camera nera”, per citare una delle oltre
20 importanti opere di Man Ray in mostra – I campi magnetici alterna volti e
ritratti, oggetti antropomorfi e corpi senz’organi, talismani e fantocci
mutanti.
La mostra si apre con un’infilata di fotografie nelle
quali Man Ray ha ritratto i manichini che adornavano l’ingresso
dell’Esposizione Internazionale del Surrealismo del 1938 a Parigi. Una serie di
opere di Louise Nevelson, Man Ray, Virginia Overton e Julia Phillips riprende e
amplifica le atmosfere perturbanti del surrealismo, combinando oggetti
quotidiani e misteriose rivelazioni metafisiche.
Nella sala principale, trasformata in un boudoir, si
susseguono opere storiche e nuove scoperte, in un piccolo psicodramma da camera
nel quale i diagrammi interiori di Kerstin Brätsch convivono accanto alle dame
di bric-a-brac di Enrico Baj o vicino alle stele della Nevelson. Le più giovani
Hannah Levy, Elaine Cameron-Weir e Julia Phillips, invece, compongono protesi
per nuovi corpi post-umani e altre divinità ortopediche – parenti lontani delle
marionette di inizio secolo e degli strumenti medici che tanto hanno
affascinato sia Man Ray sia Richard Hamilton. I quadri di Gina Beavers,
Santiago De Paoli, Emily Mae Smith e Summer Wheat riprendono linguaggi
vernacolari, tra il pop e il naïf, con i quali descrivono frammenti di anatomie
pulsanti di desideri, mentre le sculture morbide di Genesis Belanger aggiornano
gli oggetti d’affezione di Man Ray in un gioco di rimandi continui tra passato
e futuro, sotto l’influenza di nuove forme di attrazione tra opposti.
I campi magnetici è la seconda mostra curata da Cecilia
Alemani per la Galleria Gió Marconi. Nel 2009 la mostra Solaris aveva introdotto
per la prima volta al pubblico milanese le opere di Rosa Barba, Kerstin
Brätsch, Haris Epaminonda, David Maljković, e i video e le sculture di Ryan
Trecartin e Lizzie Fitch.