Sono sempre forti le emozioni che il World Press Photo Contest 2022 ci offre in questa importante mostra negli spazi della GAM - Galleria Civica d’Arte Moderna e Contemporanea di Torino fino a settembre.
Un progetto che presenta 134 scatti che raccontano di un mondo sempre più complesso e delicato. Il progetto espositivo è la summa del concorso che ha scelto tra 64.823 candidati, tra fotografie e open format, realizzati da 4.066 fotografi provenienti da 130 paesi del mondo, molti dei quali operano sulle maggiori testate internazionali, come National Geographic, BBC, CNN, Times, Le Monde, El Pais.
Per la 66ª edizione della World Press Photo Exhibition è stata poi ripensata per aumentare il livello di rappresentanza internazionale, per la prima volta è stata fatta una nuova strategia di valutazione, modificando l'impostazione del concorso e lavorando con un sistema che permette di offrire un ampio sguardo su tutte le regioni del mondo, coinvolgendo per prime le giurie “regionali” composte da professionisti di quella zona e infine una giuria “globale”, tra convocazioni online e offline. Questo ha permesso di dare spazio e voce ai fotografi di tutte le aree del mondo, e raccontare storie nuove, forse non così note al grande pubblico ma ugualmente importanti.
World Press Photo of the year è stato assegnato allo scatto realizzato nella Scuola Residenziale di Kamloops dalla fotografa canadese Amber Bracken per il New York Times. Abiti rossi appesi a delle croci lungo una strada: commemorano i bambini morti alla Kamloops Indian Residential School, un'istituzione creata per i piccoli indigeni. In quel luogo, sono state scoperte circa 215 tombe. La Presidente della giuria globale Rena Effendi: «È un tipo di immagine che si insinua nella memoria, ispira una sorta di reazione sensoriale. Potevo quasi sentire la quiete in questa fotografia, un momento tranquillo di resa dei conti globale per la storia della colonizzazione, non solo in Canada ma in tutto il mondo».
Il premio World Press Photo Story of the Year è andato a "Salvare le foreste con il fuoco" di Matthew Abbott, Australia, un lavoro realizzato per National Geographic/Panos Pictures. Al centro del racconto, un rito degli indigeni australiani che bruciano strategicamente la terra in una pratica nota come «combustione a freddo»: i fuochi si muovono lentamente, bruciano solo il sottobosco e rimuovono l'accumulo di residui vegetali che possono alimentare incendi più grandi. Il popolo Nawarddeken di West Arnhem Land, in Australia, attua questa pratica da decine di migliaia di anni e vede il fuoco come uno strumento per gestire la propria terra natale di 1,39 milioni di ettari. I ranger di Warddeken combinano le conoscenze tradizionali con le tecnologie contemporanee per prevenire gli incendi, diminuendo così la CO2 per il riscaldamento climatico.
Vincitore del premio World Press Photo long-term project award, invece, "Distopia amazzonica" di Lalo de Almeida, Brasile, per Folha de São Paulo/Panos Pictures. Mostra come la foresta pluviale amazzonica sia gravemente minacciata dalla deforestazione, dall'estrazione mineraria, dallo sviluppo infrastrutturale e dallo sfruttamento di altre risorse naturali. Pesano anche politiche "poco green" del presidente Jair Bolsonaro.
"Il sangue è un seme" di Isadora Romero, Ecuador ha vinto la sezione video World Press Photo open format award. Attraverso storie personali, questo lavoro mette in discussione la scomparsa dei semi, la migrazione forzata, la colonizzazione e la conseguente perdita di conoscenze ancestrali. Il video è composto da fotografie digitali e cinematografiche, alcune delle quali sono state scattate su pellicola 35mm scaduta e successivamente disegnate dal padre di Romero. In un viaggio nel loro villaggio ancestrale di Une, Cundinamarca, in Colombia, Romero esplora ricordi dimenticati della terra e dei raccolti e viene a conoscenza del fatto che suo nonno e la sua bisnonna fossero "custodi dei semi" e che coltivavano diverse varietà di patate, di cui solo due si possono ancora trovare.