Fra
memoria e presente la nuova mostra del Filatoio di Caraglio propone otto giovani artisti italo-francesi che hanno perlustrato i versanti
delle alpi cuneesi.
Questi
suggestivi spazi, che ora in un’ottica europea sono patrimonio
comune, conservano tracce di storie d’antiche distanze e conflitti.
L’evento
si sviluppa in un percorso che guarda dalla storia dei contrasti con
i fortini difensivi giungendo al nostro presente di svago domenicale
con i colorati tavolini da pic-nic. In mezzo c’è lo sfruttamento,
l’abbandono, la trasformazione, i ricordi turistici.
Ricordi di montagne che in questo progetto, condiviso con la regione del Gap, sono riscoperte nel
valore del territorio e del suo potenziale di memoria.
Questa collettiva dopo
l’esposizione al Castello di Montmaur, trova ora nel Filatoio,
un’altra occasione di riflessione fra la ricca storia di questa
industria ottocentesca con la nuova visione transfrontaliera di industria della cultura, potenziando il valore del confronto e della
conoscenza.
Ma
vediamo i diversi artisti con i loro progetti.
Franco
Ariaudo indaga il fenomeno del turismo “da piazzola di sosta”.
Luoghi privilegiati di questa forma di “loisir”, che unisce il
pasto all’aperto con la ricerca del contatto con la natura, sono i
bordi delle carreggiate stradali. Con il progetto Sauvage
(pret-à-monter), Ariaudo affronta il tema del paesaggio analizzando
un rituale collettivo di “addomesticazione” della natura, per
disegnare un’insolita mappa del territorio a partire
dall’esplorazione dei suoi margini.
Giorgio
Cugno esplora il potenziale metaforico e narrativo dell’acqua,
intesa quale elemento connettivo generatore di energia. Nella
“cinematic installation” dal titolo Outflow, gli interni di due
diverse centrali idroelettriche – la Centrale ENEL presso la diga
del Chiotas e la Centrale EDF di Serre-Ponson, diventano un unico
mondo narrativo. Due personaggi conducono lo spettatore in una
dimensione enigmatica e fuori dal tempo dove ogni dettaglio
acquisisce molteplici possibili significati.
Irene
Dionisio presenta il cortometraggio Quel événement imprévisible,
girato nel forte di Mont-Dauphin, imponente struttura difensiva,
progettata nel seicento dal famoso architetto militare Vauban, che si
erge nella “piana dei mille venti”. Mai toccata da conflitti
bellici (fatta eccezione per la bomba lanciata per errore durante il
secondo conflitto mondiale), è reinterpretata attraverso il tema
dell’attesa e del rapporto tra uomo e architettura, tra passato
militare e presente turistico.
Luca
Giacosa utilizza la luce come metafora della presenza umana nel
contesto alpino – luoghi un tempo densamente abitati e oggi
spopolati in una serie di fotografie notturne, realizzate con
l’esclusivo ricorso all’illuminazione artificiale proveniente dai
centri abitati. Giacosa si spinge fino a dove la luce lo consente
nella sua ricognizione, in quello spazio evanescente tra luce e ombra
che in montagna segna il perimetro del territorio antropizzato.
Daniella
Isamit Morales esplora l’idea del paesaggio primordiale delle zone
transalpine, in un’installazione-giardino realizzata con esemplari
di piante che gli studiosi presumono già esistenti in queste zone
duecento milioni di anni fa, nel periodo geologico del Triassico.
L’opera è un’installazione composta da varie specie di conifere,
lycopodium, cycas e felci: Araucaria Heterophylla, Dicksonia
Antartica, Cycas Revoluta, Zamia Skimeri, Encephalartos Arenarius,
Selaginella, Isoetes, Equiseti, Lycopodium carinatum, Wollemia,
Encephalartos.
Stephen
Loye propone una versione in miniatura del paesaggio
transfrontaliero realizzato con i materiali e gli oggetti (dai
souvenir alle cartoline) raccolti o acquistati nell’arco di un
viaggio lungo un percorso circolare tra Francia e Italia che inizia e
finisce a Digne-les-Bains: 360 gradi in 360 ore (quindici giorni),
senza fermarsi più di 24 ore nello stesso luogo. Il risultato è un
paesaggio “affettivo” e completamente reinventato, nelle sue
distanze e nelle sue proporzioni.
Il
progetto pittorico di Matthieu Montchamp si concentra sulle
architetture e sugli apparati militari che fino alla seconda guerra
mondiale hanno modellato e modificato il paesaggio alpino. Belvédère
des barbelés (belvedere dei fili spinati) combina gli esiti
dell’osservazione diretta delle tracce di questo passato con
riferimenti ai poco noti rapporti tra l’industria bellica e le
avanguardie storiche, attraverso la ripresa dei pattern astratti
utilizzati come motivi mimetici.
Interessato
a una nozione di paesaggio definita dalle “strutture che
individuano gli spazi” e dagli “attori che li qualificano”,
Cosimo Veneziano esamina un’altra geografia transfrontaliera, una
geografia identitaria, quella dell’Occitania, attraverso immagini e
cartografie, individuate nell’ambito di una ricerca effettuata su
periodici e pubblicazioni datati tra il 1970 e il 2000 riformulate
attraverso il disegno, per dar vita a un personale archivio storico,
“opaco” e di difficile consultazione.
Il
progetto “Acteurs transculturels / Creatività giovanile: linguaggi
a confronto” è promosso dalla Regione Piemonte in partnership con
il Conseil Général des Alpes de Haute-Provence, il Conseil Général
des Hautes-Alpes e l’Associazione Culturale Marcovaldo e realizzato
con il sostegno dell’Unione Europea nell’ambito del Programma
Alcotra 2007–2013 “Insieme oltre i confini”.