Peter Friedl, No prey, no pay, 2018–19. Mixed media, dimensions variable. Installation view, Sharjah Biennial 14. Performance by Johnathan Lee Iverson. Courtesy the artist and Sharjah Art Foundation. Commissioned by Sharjah Art Foundation.
Il prossimo Sabato 24 aprile 2021, dalle ore 11.00 alle ore 19.00, presso Guido Costa Projects, a Torino, si inaugura la mostra No prey, no pay di Peter Friedl.
No prey, no pay è un motto, tradizionalmente attribuito alla filibusta nei sui anni d’oro tra il 1650 e il 1730, che sancisce la stretta dipendenza tra attività predatoria e retribuzione in uso sulle navi pirata. E’ un incoraggiamento all’azione, ma anche una precisa massima socio-economica ed una sorta di codice morale. La nuova mostra di Peter Friedl, allestita nello spazio di Guido Costa Pro- jects, illustra tale concetto, dando voce a un cast idiosincratico di personaggi esemplari nella loro singolarità e marginalità, le cui biografie, in bilico tra realtà e leggenda e dotate d’estrema forza persuasiva, rappresentano tale equivalenza tra capacità di rischio e remunerazione. A loro sono dedicati sette piedistalli, realizzati su modello di quelli utilizzati in ambito circense, attorno ai quali sono abbandonati dei costumi da pirata. Sono dei piccoli palcoscenici, degli Speakers’ Corner, ma anche sculture e luoghi simbolici in attesa di essere attivati.
La mostra, da intendere come un ulteriore elemento di quel grande affresco dedicato al teatro a cui Peter Friedl lavora da molti anni, è una sorta di messa in scena in attesa di corpi, popolata di storie, memorie e proiezioni. Come la vita di Benjamin Lay (1682-1759), quacchero nano e defor- me, dapprima mercante nell’isola di Barbados, poi pellegrino, polemista e vegetariano, precursore dell’abolizionismo già all’inizio del ‘700, definito dai suoi compagni “il profeta incontenibile”. O quella di Rafael Padilla, al secolo Chocolat, afro cubano di nascita e giunto alla fama come clown nella Parigi dell’inizio ‘900, uno dei primi entertainer di colore ad aver calcato le scene dei grandi teatri europei. O, ancora, Joice Heth (ca.1756-1836), l’anziana schiava afroamericana, spacciata da P.T. Barnum come la balia ultracentenaria di George Washington e sottoposta dopo la sua morte ad una pubblica autopsia per certificarne l’età. Ma anche figure leggendarie, in bilico tra storia e finzione, come Dragon Lady, stereotipo della femme fatale orientale, immortalata da Mil- ton Caniff nella fortunata striscia di fumetti Terry and the Pirates del 1934 e in tante pellicole hol- lywoodiane, da Daughter of the Dragon con Anna May Wong, a Kill Bill di Quentin Tarantino. Un altro riferimento è l’opera Polly di John Gay (1685-1732), sequel della celebre The Beggar’s Opera, ambientata nelle Indie Occidentali. Oppure Black Caesar, vero e proprio pirata, attivo nell’arcipe- lago delle Florida Keys all’inizio del ‘700 al servizio del corsaro Barbanera, dalla biografia miste- riosa e sovversiva.
Peter Friedl orchestra magistralmente questa polifonia di voci, tutte raccolte idealmente ai piedi di un grande apocrifo Jolly Roger, intitolato King Death che fa da quinta alla mostra. No prey, no pay è una scena vuota che attende di prendere vita, distillata in pochi tratti meditati ed essenziali, ric- ca di storie, riflessioni e precisi contrappunti. E’ una complessa macchina scenica che trasforma il pittoresco di biografie non comuni in riflessioni su temi di grande rilevanza politica, dalla critica dell’immagine, ai Black Studies.
La mostra, ideata tra il 2018 e il 2019 in occasione della Biennale di Sharjah, negli Emirati Arabi Uniti (con la presenza, in quell’occasione, di Johnathan Lee Iverson, ultimo Ringmaster del circo Ringling Bros. and Barnum & Bailey, chiuso nel 2017), sarà visibile in galleria a partire dal 24 apri- le, fino al 24 giugno 2021.
Peter Friedl (1960) è un artista che vive a Berlino. Il suo lavoro è stato esposto in numerose istituzioni inter- nazionali, tra cui il Museo Nacional Centro de Arte Reina Sofia, Madrid; Centre Pompidou, Paris; Walker Art Center, Minneapolis; Van Abbemuseum, Eindhoven; e Hamburger Kunsthalle. Ha partecipato a documenta 10, 12 e 14 (1997, 2007, 2017), alla 48a e 56a Biennale di Venezia (1999 e 2015), alla terza Biennale di arte contemporanea di Berlino (2004), a Manifesta 7, Trento (2008), alla settima Biennale di Gwangju (2008), alla 28a Bienal de São Paulo (2008), a La Triennale, Paris (2012), alla Biennale di Taipei (2012 e 2016), alla 10a Biennale di Shanghai (2014), alla prima Biennale di Anren (2017) e alla 14a Biennale di Sharjah (2019) . Tra le personali sono da ricordare OUT OF THE SHADOWS, Witte de With, Center for Contemporary Art, Rotter- dam (2004), Work 1964-2006, Museu d’Art Contemporani de Barcelona, Miami Art Central, Musée d’Art Contemporain, Marseille (2006-2007), Blow Job, Extra City Kunsthal, Antwerp (2008), Working, Kunsthalle Basel (2008), Peter Friedl, Sala Rekalde, Bilbao (2010), The Dramatist, Artspace, Auckland (2014), The Dia- ries, Grazer Kunstverein, Graz (2016) e Teatro Popular, Lumiar Cité, Lisbona (2017), Teatro, Kunsthalle Wien e Carré d’Art, Nîmes (2019-2020).
Questa è la sua quarta personale presso Guido Costa Projects.