Recentemente un articolo del New Yorker proponeva al nostro paese di abbattere le strutture architettoniche fasciste, strano invito che mette l’accento su come ancora oggi il rapporto fra architettura e potere, sia democratico che dittatoriale, possa avere una suo peso nel contesto cultura.
Risulta così significativamente attuale il recente lavoro di Carlos Garaicoa alla Fondazione Merz che indaga, nel suo progetto espositivo, curato da Claudia Gioia, il complesso valore fra strutture urbanistiche e messaggio sociale.
Un percorso aperto ci immerge in una sezione di elementi che vanno dalla propaganda visiva all’uso dello spazio urbano fino alla gestualità.
Tutto concorre a influenzare e proporre messaggi. Soprattutto se il latore del messaggio vuole indirizzare su definite linee restringendo l’illusione della libertà.
Intenso il breve video, in cui un apparente gesto orchestrale riveli, immerso in una struggente melodia, un infuocato spirito d’odio.
Questo universo spesso doloroso e inquietante trova una cifra di speranza nell’attenzione all’architettura locale torinese, in questo caso all’edificio militare della Cavallerizza che dimesso il suo ruolo di controllo è in trasformazione come luogo di proposte e studi artistici.