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Visualizzazione post con etichetta Fondazione Furla. Mostra tutti i post
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25/10/24

Figure convergenti alla GAM di Milano


 Delicato e relazionale l'intervento di Kelly Akashi alla GAM - Galleria d’Arte Moderna di Milano da domani, visibile fino all’8 dicembre, dal titolo “Converging Figures”,  a cura di Bruna Roccasalva.

La mostra è la sesta edizione del progetto “Furla Series”, frutto della collaborazione tra Fondazione Furla e GAM, che dal 2021 ogni anno promuovono insieme progetti espositivi offrendo un’occasione unica di incontro tra i maestri del passato e i protagonisti del contemporaneo.



Kelly Akashi è un’artista americana, nata e cresciuta a Los Angeles da una famiglia di origini giapponesi, la cui pratica si distingue per la capacità di conciliare un approccio concettuale con un’attenzione per la forma e il processo che porta alla sua realizzazione. Sempre eseguiti con sapiente abilità manuale e profonda conoscenza dei materiali, i lavori di Akashi esplorano concetti universali come il tempo e l’entropia, l’impermanenza del mondo naturale e la transitorietà del corpo umano.



Attratta da materiali come cera, bronzo e vetro, Akashi li plasma creando forme che riproducono elementi naturali come piante, fiori, conchiglie o parti del suo corpo, registrandone i cambiamenti fisiologici e dunque il passare del tempo. Accostate in composizioni poetiche dall’aspetto spesso fragile e prezioso, queste forme, familiari e stranianti al tempo stesso, affrontano temi esistenziali, incoraggiandoci a guardare le cose da una prospettiva diversa, più ampia e meno antropocentrica.

Il progetto, prima mostra personale dedicata all’artista da un’istituzione italiana, presenta una serie di nuove produzioni pensate appositamente per dialogare con l’architettura e i capolavori del museo. Le opere in mostra nascono in risposta al contesto che le ospita e si inseriscono al suo interno in modo discreto e silenzioso, integrandosi armonicamente con  quello che le circonda.


03/09/18

La Fondazione Furla alla Triennale con Haegue Yang:Tightrope Walking and Its Wordless Shadow



Haegue  Yang,  Dress  Vehicles,  2012  Installation  view  of  The  Tanks:  Art  in  Action,  Tate  Modern,  London,  UK,  2012  
M+  Collection,  Hong  Kong  Photo:  Studio  Haegue  Yang 


LaTriennale di MilanoFondazione Furla presentano Haegue Yang:Tightrope Walking and Its Wordless Shadow, una mostra a cura di Bruna Roccasalva, promossa da Fondazione Furla e dalla Triennale di Milano.

Prima mostra personale di Haegue Yang in un’istituzione italiana, Tightrope Walking and Its Wordless Shadowraccoglie la vasta gamma di mezzi espressivi che contraddistinguono la sua pratica: dal collage al video, dalle sculture performative alle grandi installazioni. L’estrema varietà dei riferimenti e delle visioni prodotte, che si muovono su una sottile linea tra l’indagine sociale e la storia, trail vissuto personale e la memoria collettiva, genera percorsi immaginifici di grande potenza evocativa in cui oggetti, persone e luoghi sono inestricabilmente interconnessi.

Tightrope Walking and Its Wordless Shadowsi articola in tre ambienti che attraverso la combinazione di lavori iconici e nuove ambiziose produzioni – che rappresentano nodi cruciali nella produzione dell’artista dal 2000 a oggi – restituisce gli elementi ricorrenti nel suo lavoro: l’interesse per l’astrazione e la geometria; il movimento e la performatività; la relazione tra “piegare” e “dispiegare”,che l’artista esplora comepratiche interconnesse. Al centro c’è la sua ricerca dell’“inesprimibile”: l’urgenza di creare un linguaggio la cui potenzialità è comela camminata di un funambolo, in cui ogni movimento è molto più che dinamico, è carico di una tensione che evoca emozioni e percezioni.

Aprono il percorso due lavoriesposti raramente in passato ma considerati seminali: 134.9 m³(2000-2018) e 81 m² (2002-2018), appartenenti rispettivamente alle serie ThreadInstallations e ChalkLine Drawings.

134.9 m³è una barriera quasi invisibile costituita da fili di cotone rosso - tesi tra due pareti a intervalli di 10 cm e con l’impercettibile inclinazione di un grado - che isola un angolo della sala precludendone l’accesso. Il tracciato sembra proseguire sul muroretrostante con 81m²:una sequenza di linee rette disegnate a gesso rosso che si confondono con i fili, creando un effetto ottico di sottile movimento.

ThreadInstallations e Chalk Line Drawings, che prendono di volta in volta il titolo dalla misura dello spazio occupato, sono tra le prime opere di natura installativa realizzate da Yang e contengono in nuce aspetti centrali di tutta la sua produzione successiva: dall’interesse per la geometria all’impiego di materiali d’uso comune, fino all’attitudine ad articolare una spazialità ambivalente, concettuale e percettiva, accessibile e inaccessibile allo stesso tempo.

Haegue  Yang  Installation  view  of  Shooting  the  Elephant  象  Thinking  the  Elephant,  Leeum,  
Samsung  Museum  of  Art,  Seoul,  South  Korea,  2015  Photo:  Studio  Haegue  Yang 

All’interno della porzione di spazio delimitata da queste due installazioni, si intravvede un altro dei primi lavori dell’artista,Science of Communication #1 – A Study on How to Make Myself Understood(2000), che testimoniail suo continuo e faticoso confronto con le problematiche del linguaggioall’interno dei processi di integrazione culturale e sociale. Il testoinizialmente scritto da Yang come flusso di riflessioni personali in unacommistione indecifrabile di lingueè stato successivamenteeditato, tradotto in inglese erestituito in forma comprensibile da un traduttore professionista. L'artista muove dalla propria vicenda biografica- si è trasferita nel 1999 in Germania dalla nativa Corea per completare gli studi universitari a Francoforte– e dalla difficoltà incontrata quotidianamentenel tradurre il proprio pensiero in una lingua straniera.

La necessità della mediazione altrui per realizzare quest’opera esprime l’insicurezza e la vulnerabilità dell’artista, ampliando allo stesso tempo lariflessione alla più generale difficoltà, se non impossibilità, di comunicare se stessi attraverso il linguaggio.

Questo sentimento di incomunicabilità echeggia anche in Mirror SeriesBack(2006), uno specchio ovale appeso con la superficie riflettente rivolta verso la parete, come a dare le spalle allo spettatore e al mondo,con un gesto di negazione cosciente e di rifiuto attivo di un ruoloprestabilito e convenzionale.L’opera fa parte di un gruppo di sei lavori (Mirror Series, 2006-2007) in cui l’artista indaga diversi modi attraverso cui uno specchio può venire meno alla funzione di riflettere l’immagine di fronte a sé.Mirror Series esemplifica anche il peculiare approccio alla figurazione di Yang, che nei suoi lavori allude alla figura umana senza mai rappresentarla direttamente o, come in questo caso, evocandone l’assenza.


Dalle “barriere permeabili e trasparenti” di 134.9 si passa a Cittadella(2011), una monumentale installazione composta da 176 tende veneziane che occupa lo spazio centrale della mostra: un ambiente multisensoriale fatto di complesse strutture modulari, attraversate dai visitatori che si muovono al suo interno e da una coreografia ipnotica di luci, mentre diversi profumi si diffondono nello spazio alludendo a un “altrove”. Il titolo Cittadella rimanda a una fortificazione impenetrabile ma l’esclusività di questa architettura è parzialmente illusoria. Le pareti di tende attraversate dai fasci di luce si rivelano permeabili allo sguardo, e i passaggi che si aprono nella geometria esterna della struttura invitano lo spettatore ad addentrarsi e attraversarla.

Da questo suggestivo e immersivo percorso si passa a un altro ambiente, una sorta di sala da ballo sulle cui pareti si dispiega un intervento simile a un murales appartenente alla serie in continua evoluzione deiTrustworthies(iniziata nel 2010). In questo importante ciclo di opere Yang combina diversi materiali grafici: buste con pattern stampati, la sua personalissima rielaborazione della carta millimetrata (GridBlocs, iniziata nel 2000), vinili riflettenti, immagini di dispositivi tecnici e motivi naturalistici. La serie nasce con la casuale scoperta da parte dell'artista dell’affascinante varietà dei pattern della carta di sicurezza, la stampa usata per l'interno delle buste di documenti con la funzione di proteggere la natura confidenziale del loro contenuto. Mettendo in luce le possibilità estetiche di questi pattern, Yang li usa per creare dei collage: inizialmente paesaggi astratti composti da semplici linee orizzontali, che nel tempo assumono composizioni sempre più complesse - onde, rifrazioni, mulini a vento, composizioni a x, intrecci, caleidoscopi - e incorporano materiali eterogenei come carta da origami, carta vetrata, carta olografica, carta millimetrata, fino a uscire dai confini delle cornici per occupare l’intera parete. Negli interventi più recenti, come quello in mostra, iTrustworthiessono diventati per l’artista uno strumento per creare complesse ambientazioniche ospitano lavori scultorei.


Le figurazioni immaginifiche che si dispiegano lungo le pareti della sala fanno da cornice alla “danza” di due sculture performative della serie Dress Vehicles (inziata nel 2011) prodotte per l’occasione.

Ispirati a forme e concezioni diverse di danza, come le Danze Sacre dello spiritualista russo Georges I. Gurdjieffe i costumi geometrici dei Triadic Ballet (1922) di Oskar Schlemmer, iSonic Dress Vehiclespresentati in mostra, sono pensati dall’artista per “vestire” il pubblico e, come “maschere”, dare a chi le indossa una diversa identità, rivelando allusioniai travestimenti delle drag queen, alle danze tradizionali con le maschere e al teatro delle marionette.

Per Yang la danza è qualcosa di più di un genere, è una forma complessa di espressione, in cui impulsi fisici, socio-politici, spirituali e ritualistici convergono. I suoi Dress Vehicles non consentono molta libertà di movimento: secondo l’artistainfattiè nel semplice esercizio di spingere queste gigantesche strutture che si può sentire il "peso" della danza, avere la sensazione di essere “sovrastati” da questi splendidi costumi o, al contrario, “emancipati”dalla possibilità di muoverli nello spazio.Corpi ibridi in cui architettura, scultura e performance si fondono, i Sonic Dress Vehicles sono anche una sintesi perfetta della sfaccettata natura del lavoro di Yang che la mostra racconta.

Dall’approccio minimalista che contraddistingue la prima sala all’esuberanza fastosa dell’ultimo ambiente, il percorso espositivo riflette gli estremi tra cui si muove la sperimentazione continua di Haegue Yang, in cui l'incontro casuale con un oggetto o un materiale può generare forme, emozioni e narrazioni inaspettate e dove la negazione di conoscenze acquisite coincide sempre con l’apertura di nuove prospettive.



  
Encountering Isang Yun
Durante l’inaugurazione si svolgerà nelle sale della mostra il concerto Encountering Isang Yun, dedicato all’opera del compositore coreano IsangYun (1917-1995), in cui sarà presentatauna selezione delle sue composizioni per oboe e violoncello: Ost-West-Miniatur I (1994); Piri (1971); Glissées(1970); Ost-West-Miniatur II (1994).
                                                                                       
Yun è conosciuto in tutto il mondo non solo per l'innovativo percorso musicale ma anche per letormentate vicende politiche che hanno segnato la sua vita durante il periodo della Guerra Fredda.
Cresciuto durante l'occupazione giapponese della penisola coreana (1919-45),Yun aveva imparato a suonare il violoncello e aveva studiato musica in Corea e in Giappone, partecipandoattivamente al movimento anti-giapponese. Dopo la guerra coreana (1950-53), Yun cominciò a comporre, e nel 1956 partì per l'Europa per studiare dodecafonia. Le sue composizioni, eseguite con strumenti occidentali ma ispirate a tecniche tradizionali coreane e ad antiche storie popolari, cominciarono a essere apprezzate a livello internazionale.
Nel 1967, Yun fu rapito e portato a Seoul dove venne accusato di spionaggio, nel cosiddetto “Incidente di Berlino Est”. Yun e centinaia di altri intellettuali e artisti coreani furono imprigionati e torturati. Venne liberato solo nel 1969, grazie alle pressioni internazionali di musicisti e intellettuali, ma non venne mai riabilitato dal punto di vista politico. Poco dopo, fu naturalizzato come cittadino tedesco e non tornò mai più in patria.Morì di polmonite a Berlino nel 1995.
Yun simboleggia la divisione ideologica della penisola Coreana che sopravvive ancora oggi, e la sua polarizzazione tra destra e sinistra: Yun è il massimo artista nazionale, una figura tragica e celebre, maal contempo è marchiato dall'estrema destra comegrande traditore di sinistra. Elogiato e costretto al silenzio da entrambi i lati della Corea, gli eventi che hanno turbato la sua vita hanno pesantemente messo in ombra e isolato la sua ereditàmusicale.


Catalogo
In occasione della mostra sarà pubblicata l’antologia Haegue Yang:TightropeWalking and ItsWordlessShadow, curata da Bruna Roccasalvaed edita da Skira editore.
Il volume, in edizione bilingue (inglese/italiano), raccoglie una selezione delle interviste e dei saggi più significativi sul lavoro dell’artista dal 2006 al 2018 ed è corredato da un ricco apparato iconografico con opere storiche e documentazione dei lavori in mostra.


Haegue Yang(1971, Seoul, Corea del Sud. Vive e lavora tra Berlino e Seoul) è una delle artiste più riconosciute della sua generazione. Dopo gli studi nella nativa Corea (Seoul National University, 1994), Haegue Yang si trasferisce in Germania e consegueunMeisterschüler alla Städelschule di Francoforte (1999), dove attualmente insegna, mentre prosegue la sua attività espositiva internazionale.Ha esposto con mostre personali presso importanti musei tra cui: Walker Art Center, Minneapolis (2009); Aspen Art Museum, Aspen (2011); HausderKunst, Monaco di Baviera (2012); Bergen Kunsthall (2013); Leeum, Samsung Museum of Art, Seoul (2015); Ullens Center for Contemporary Art, Beijing (2015);Centre Pompidou, Parigi (2016); Museum Ludwig di Colonia (2018) con la mostra retrospettiva ETA 1994-2018.
Ha partecipato a importanti manifestazioni internazionali tra cui:Biennale di Gwangju (2010); dOCUMENTA 13, Kassel (2012); Biennale di Taipei (2014); Sharjah Biennale 12 (2015); Biennale di Sydney (2018) e Biennale di Liverpool (in corso fino al 28 ottobre 2018). Nel 2009 ha rappresentato la Corea alla 53.a Biennale di Venezia. Yang è la vincitrice dell’ultima edizione del prestigioso Wolfgang HahnPrize.

  
Haegue Yang: Tightrope Walking and Its Wordless Shadow a cura di Bruna Roccasalva

7 settembre – 4 novembre 2018 alla Triennale di Milano






08/03/18

Furla Series #01 - Programma Pubblico



Nell’ambito del Programma Pubblico che accompagna il progetto  - Furla Series #01 ---Time after Time after Time, Space after Space, Museo del Novecento Museo  e Fondazione Furla presentano

 Video e performance: storie di archivi Talk e proiezioni  con Valentina Valentini Introduce: Anna Maria Montaldo, Direttrice del Museo del Novecento 

Mercoledì 14 marzo, ore 18.30 Sala conferenze, Museo del Novecento, 

L’inizio degli anni Settanta vede l’interesse per pratiche live divenire parte fondamentale e costituente del lavoro di molti artisti, segnando uno dei momenti più interessanti nell’ambito della storia delle arti del XX secolo. Le performance vengono realizzate in spazi pubblici e privati, e riprese su diversi formati da operatori del settore o dai protagonisti stessi. In molti casi, però, tali azioni avvengono a porte chiuse alla sola presenza della videocamera. Se da un lato il video rappresenta lo strumento privilegiato per la documentazione di opere performative, dall’altro molto spesso questi materiali acquistano un valore che va al di là di quello puramente documentativo, diventando a tutti gli effetti delle opere d’arte. Valentina Valentini, docente di Estetiche e linguaggi del teatro contemporaneo, e di arti elettroniche e digitali presso l’Università La Sapienza di Roma, approfondisce questa complessa e interessante relazione in una lezione in cui, oltre a proiettare significativi lavori realizzati negli anni Settanta, va ad analizzare la cultura archivistica dei pionieri del video in Italia, prendendo adesempio due tra i più celebri protagonisti dell’epoca: Luciano Giaccari, con la costituzione dell’omonima Videoteca, e Maria Gloria Bicocchi, con l’esperienza del centro di produzione art/tapes/22.  

Valentina Valentini insegna arti performative e artValentina Valentinii elettroniche e digitali alla Sapienza, Università di Roma. Ha dedicato vari studi storici e teorici al teatro del Novecento, alle interferenze fra teatro e nuovi media e alle arti elettroniche. Pubblica su riviste nazionali e internazionali (Performance Research, PAJ, Biblioteca Teatrale, Close Up, Imago). Dal 2011 al 2015 ha diretto il Centro Teatro Ateneo, centro di ricerca sullo spettacolo, Sapienza, Università di Roma.  È responsabile per Alfabeta2 del Teatro e del network www.sciami.com. Responsabile scientifica del progetto Incommon, vincitore del bando ERC 2015. 

Per informazioni: www.museodelnovecento.org www.fondazionefurla.org

14/08/17

Simone Forti / To Play the Flute




Con piacere vi segnalo questa nuova iniziativa della Fondazione Furla.

Sarà una selezione di performance dell’artista, coreografa e performer italoamericana che per tre giorni animerà la Sala Fontana del Museo del Novecento To Play the Flute, questo è il primo appuntamento di Furla Series #01, che consiste nel reenactment di quattro performance storiche che rappresentano tappe fondamentali nel percorso artistico di Simone Forti: da Huddle e Censor (entrambe del 1961) fino a Cloths (1967) e Sleepwalkers (1968), la selezione restituisce alcuni degli elementi chiave che contraddistinguono il suo approccio alla performance, come la combinazione di azioni e oggetti e il ruolo fondamentale del suono.

Simone Forti è da oltre cinquant’anni una delle figure di riferimento della danza postmoderna. Dai movimenti minimali e prosaici dei suoi primi lavori, alle improvvisazioni che coniugano parola e movimento, la sua ricerca ha profondamente influenzato la danza e le pratiche performative contemporanee.

È in particolare con le celebri Dance Constructions – oggi parte della collezione permanente del Museum of Modern Art di New York – che Simone Forti si afferma sulla scena artistica degli anni Sessanta come innovatrice e sperimentatrice del linguaggio del corpo. Presentate per la prima volta nel 1961 come parte delle Five Dance Constructions and Some Other Things durante una serie di eventi organizzati da La Monte Young nello studio di Yoko Ono a New York, queste performance ripensano la relazione tra corpo e oggetto, movimento e scultura, rispetto delle regole e improvvisazione. Si tratta di azioni costituite da movimenti semplici o dall’interazione con oggetti, in cui l’espressione personale e l’improvvisazione vengono sempre precluse dagli sforzi richiesti per svolgere determinati movimenti o seguire delle regole.

Lavoro tra i più noti di questa serie, Huddle consiste nel gesto collettivo di un gruppo di persone che, strette le une alle altre, creano una sola entità strutturale. Un insieme disuniforme di braccia, gambe, busti e teste prende forma sotto gli occhi degli spettatori, diventando una scultura fatta di corpi che ad uno ad uno scalano questa massa per poi rientrare a farne parte.

Presentato nel 1961 all’interno dello stesso contesto, Censor è invece uno scontro tra suoni: una pentola piena di chiodi viene scossa vigorosamente mentre una canzone è intonata ad alta voce, un’estenuante competizione acustica che all’interno di To Play the Flute viene ripetuta più volte fungendo da intermezzo tra una performance e l’altra.

In Cloths, realizzata per la prima volta nel 1967 alla School of Visual Arts di New York, tre tele nere occupano lo spazio celando altrettanti performer che rovesciano su di esse una serie di drappi a formare una stratificazione di superfici colorate, mentre cantano sovrapponendo le loro voci a brani preregistrati di altre canzoni. Il corpo scompare per lasciare completamente la scena a due elementi fondamentali nella ricerca dell’artista: il movimento – in questo caso quello dei tessuti – e la musica.

Infine Sleepwalkers, a Milano interpretato dalla performer e danzatrice Claire Filmon, è uno dei lavori più noti di Simone Forti ed è legato alla sua esperienza in Italia negli anni Sessanta. La performance fu infatti eseguita per la prima volta alla Galleria L’Attico di Roma nel 1968, dopo che l’artista trascorse giorni a osservare e disegnare la fauna dello zoo della città. Il risultato è un lavoro meditativo, basato sui comportamenti abituali che gli animali sviluppano in risposta all’ambiente confinato in cui si trovano, restituiti nell’azione performativa tramite movimenti minimi che indagano il complicato equilibrio tra restrizione e libertà.

Foto copertina: Simone Forti, Huddle (1961), performed at Le Mouvement - Performing the City, Biel/Bienne, 2014. The Museum of Modern Art, New York. © 2017 The Museum of Modern Art. Photo: Meyer & Kangangi. Photo courtesy the artist.




21-22-23 Settembre 2017

19.00 (accesso ore 18.30)
20.30 (accesso ore 20.00)
Ingresso libero fino a esaurimento posti

Sala Fontana, Museo del Novecento
Via Marconi, 1
Milano

22/05/17

Succedersi di tempi, succedersi di stanze




Time after Time, Space after Space  è il nome della nuova iniziativa della Fondazione Furla che in collaborazione col Museo del Novecento avvierà una programmazione performantivacon personaggi di fama internazionali quali Christian Marclay o Alexandra Bachzetsis.



CS
Furla Series è il programma che a partire dal 2017 vede Fondazione Furla impegnata nella produzione di mostre e eventi dedicati ad alcuni tra i più significativi artisti nazionali e internazionali, realizzati in collaborazione con le più importanti istituzioni d’arte italiane. 

Furla Series è il nuovo progetto promosso da Fondazione Furla sotto la direzione artistica di Peep-Hole.

TIME AFTER TIME, SPACE AFTER SPACE
un ciclo di performance con Alexandra Bachzetsis, Simone Forti, Adelita Husni-Bey, Christian Marclay e Paulina Olowska

Museo del Novecento e Fondazione Furla annunciano "Time after Time, Space after Space", un programma di appuntamenti dedicati alla performance, che tra settembre 2017 e maggio 2018 animerà la Sala Fontana del Museo del Novecento con interventi di Alexandra Bachzetsis, Simone Forti, Adelita Husni-Bey, Christian Marclay e Paulina Olowska, chiamati a interpretare lo spazio del museo con nuove produzioni o reenactment di azioni performative che hanno segnato tappe fondamentali della loro carriera. Cinque focus monografici, presentati a cadenza bimestrale e dedicati ad altrettanti artisti di generazioni e provenienze differenti, rappresenteranno una pluralità di approcci al linguaggio performativo, restituendo la complessa sperimentazione che da anni riguarda questa forma espressiva.

"Time after Time, Space after Space", realizzata in co-produzione con il Museo del Novecento di Milano, è la prima edizione di "Furla Series", il progetto che a partire dal 2017 vede Fondazione Furla impegnata nella realizzazione di mostre ed eventi dedicati ad alcuni tra i più significativi artisti nazionali e internazionali, in collaborazione con le più importanti istituzioni d’arte italiane. 

La partnership con il Museo del Novecento si configura come un’occasione unica di incontro tra passato, presente e futuro attraverso l’attivazione di un dialogo tra i maestri del Novecento e i protagonisti della scena artistica contemporanea. 
Da questo presupposto nasce l’idea di riflettere sulla performatività a partire da una relazione con l’opera di Lucio Fontana, che ha segnato un punto fondamentale nel riconoscimento del valore artistico del gesto, aprendo la strada alle successive ricerche spaziali e performative. Nell’anno del cinquantesimo anniversario della morte di Fontana, e nei mesi che immediatamente lo precedono, "Time after Time, Space after Space" celebra l’importanza e l’attualità della sua ricerca attraverso un ciclo di performance illuminate dalla sua nota "Struttura al Neon per la IX Triennale di Milano" (1951). 

Il progetto costituirà una sorta di mostra a puntate e sarà accompagnato dalla pubblicazione di un catalogo bilingue e da un ricco public program, finalizzato alla creazione di un contatto più diretto tra i contenuti della mostra e un pubblico ampio e trasversale. Il programma, parte fondamentale del progetto e distribuito lungo tutta la durata dello stesso, sarà articolato in differenti formati – talk, conferenze, tavole rotonde, workshop, seminari, concerti, visite guidate – in modo da offrire un ampio e approfondito palinsesto di attività collaterali.


Sala Fontana, Museo del Novecento, Milano
da settembre 2017 a maggio 2018
Primo appuntamento: Simone Forti



Immagine:
Lucio Fontana, Struttura al neon per la IX Triennale di Milano, 1951 (2010)
Ricostruzione autorizzata dalla Fondazione Lucio Fontana per il Museo del Novecento, Milano 2010
© Fondazione Lucio Fontana by SIAE 2017
Photo © Masiar Pasquali