Translate
21/11/25
Musée Picasso 2030
20/11/25
30 FSRR
19/11/25
Quasi Fantastica
18/11/25
Push the Limits 2
Alla Fondazione Merz prosegue il progetto "Push the Limits", curato da Claudia Gioia e Beatrice Merz, che in questa seconda edizione riprende una frase di Mario Merz – “la cultura si sveste e fa apparire la guerra“.
Per la rassegna sono state selezionate una ventina di opere che affrontano in modo variegato il tema, con approcci molto diversi sia formalmente che culturalmente, evidenziando la complessa cifra del fare artistico.
CS
La Fondazione Merz presenta la seconda edizione di PUSH THE LIMITS, progetto espositivo a cura di Claudia Gioia e Beatrice Merz.
La mostra esplora la capacità dell’arte di rispondere alle questioni attuali e urgenti e di farsi portatrice di cambiamento, rifiutando la rassegnazione all’immobilità. Riunisce 20 artiste di generazioni e provenienze diverse che fanno del superamento e della trasformazione dei limiti imposti e supposti la propria grammatica artistica.
La mostra è aperta da lunedì 27 ottobre 2025 a domenica 1° febbraio 2026. Le artiste sono: Heba Y. Amin, Maja Bajević, Mirna Bamieh, Fiona Banner aka The Vanity Press, Rossella Biscotti, Monica Bonvicini, Latifa Echakhch, yasmine eid-sabbagh/Rozenn Quéré, Cécile B. Evans, Dominique Gonzalez-Foerster, Mona Hatoum, Emily Jacir, Jasleen Kaur, Katerina Kovaleva, Teresa Margolles, Helina Metaferia, Janis Rafa, Zineb Sedira, Nora Turato.
Nel rititolare la seconda edizione di PUSH THE LIMITS è stata aggiunta la frase di Mario Merz, “la cultura si sveste e fa apparire la guerra”. Il riferimento è al ruolo da sempre complesso della cultura in situazioni di conflitto e alla necessità che la cultura si svesta di un’immagine ovattata per evidenziare la sua natura combattiva. In questo modo si intende sottolineare anche la libertà e la responsabilità dell’arte e della cultura, così come l’obiettivo di forzare i limiti, proprio oggi in cui tutti i principi della convivenza e del diritto vengono continuamente stravolti, perché possano venire nuove parole per ricominciare a pensare in termini di giustizia e di relazioni internazionali, sociali e civili.
La mostra mette in campo azioni, immagini e voci capaci di riallineare mezzi e fini, con la consapevolezza che la relazionalità è, come ricordava Barbara Kruger nella prima edizione del progetto, qualità costitutiva dell’azione. In questa prospettiva — cara anche a Hannah Arendt, per la quale l’azione collettiva possiede un principio estetico — libertà e esecuzione coincidono nel dare forma a parole e forme nuove, in risposta alle crisi del presente.
17/11/25
Running Arcs da Gagosian a New York
15/11/25
Wolfgang Laib dialoga con le opere della Kunsthaus di Zurigo
Un allestimento che durerà fino all'autunno del 2026, la nuova azione di "ReCollect!" con le opere di Wolfgang Laib che incontrano capolavori della collezione del Kunsthaus di Zurigo.
Dalla fine degli anni Settanta, Laib ha sviluppato una forma d'arte radicalmente ridotta e silenziosa, dalla presenza potente, utilizzando polline, cera, latte, riso e pietra.
Le opere di Laib instaurano un dialogo trans-storico con circa 30 opere della collezione, dal Medioevo al XX secolo. Sono esposte opere di Fra Angelico (cerchia), Matteo di Giovanni, Philippe de Champaigne, Claude Monet, Ferdinand Hodler, Alberto Giacometti, Constantin Brancusi, Giorgio de Chirico, Wassily Kandinsky, Verena Loewensberg, Piet Mondrian, Barnett Newman, Mark Rothko, Robert Ryman, Sophie Taeuber-Arp e Lee Ufan, tra gli altri.
Circa 50 delle opere chiave di Laib danno vita al suo linguaggio visivo: un'opera di polline di grandi dimensioni, un brahmanda (scultura ovoidale in pietra), una pietra di latte, una ziggurat, una camera delle cere con accesso pedonale, case del riso, una scala laccata e altre sculture, disegni e fotografie. Presentiamo anche opere fondamentali dell'arte asiatica, in particolare indiana, tra cui, in prestito speciale dal Museo Rietberg, un'importante statua in marmo giainista di Jina Rishabha.
14/11/25
Fictions of Display
Al centro di questa mostra ci sono opere tratte dal progetto immersivo e performativo di Oldenburg, The Store (1961-62), in cui realizzava e vendeva riproduzioni di beni di consumo quotidiani. Queste opere aprono la strada a un'esplorazione più ampia di come gli oggetti non siano solo esposti, ma anche messi in scena e fatti circolare.
Fictions of Display presenta anche diverse nuove acquisizioni, così come opere mai esposte nelle gallerie del MOCA, come il dipinto del rivoluzionario regista teatrale polacco Tadeusz Kantor, noto per il suo approccio avanguardistico e profondamente personale alla performance, e la videoinstallazione di Catherine Sullivan, che fonde teatro, cinema e arte visiva per esaminare i sistemi di recitazione e rappresentazione. Un elemento dal vivo è sottilmente intrecciato nell'esperienza della galleria: per " Portrait of an Unknown Person Passing By" di Tania Pérez Córdova , un performer circola silenziosamente tra i visitatori a orari non annunciati, vestito con un abito che riprende il motivo di un oggetto in ceramica esposto.
Fictions of Display è organizzato da José Luis Blondet, curatore senior, con Paula Kroll, assistente curatoriale.
Le mostre al MOCA sono supportate dal MOCA Fund for Exhibitions, con finanziamenti importanti forniti da Tatiana Botton, The Goodman Family Foundation, Alfred E. Mann Charities e Alicia Miñana e Robert Lovelace. Un generoso contributo è fornito da Michael e Zelene Fowler, The Earl and Shirley Greif Foundation, Pamela e Jarl Mohn, Jonathan Segal, Carl and Ruth Shapiro Family Foundation e Pamela West.
13/11/25
Luci d’Artista - 28esima edizione
Già da diversi giorni Torino brilla trasformando il cielo della città in un grande palcoscenico di luce, grazie allo storico progetto delle "Luci d'artista"
Quest'anno con 32 installazioni luminose, arricchite da ben quattro nuove opere firmate da grandi protagonisti della scena artistica: Tracey Emin, il collettivo Soundwalk Collective insieme alla poetessa e musicista Patti Smith e al compositore Philip Glass, Riccardo Previdi e Gintaras Didžiapetris. Saranno coinvolti nuovi spazi della città che entreranno a far parte della mappa luminosa di Luci d’Artista, confermando la vocazione della manifestazione a rinnovarsi e a estendere la propria presenza nel tessuto urbano di Torino.
Le Luci d’Artista della 28° edizione resteranno accese fino all’11 gennaio 2026 e in questi mesi piazze, monumenti e luoghi simbolo della città dialogheranno con l’arte contemporanea, trasformando Torino in un museo dove la protagonista è la luce.
Tra le nuove installazioni luminose, due portano la firma della Fondazione CRT, da sempre al fianco di Luci d’Artista: la prestigiosa opera al neon di Tracey Emin, Sex and Solitude, donata alla Città di Torino dalla Fondazione Arte CRT, e il progetto speciale delle OGR Torino, Mummer Love, che animerà il monumentale cortile con un’opera dei Soundwalk Collective insieme a Patti Smith e Philip Glass.
Luci d’Artista accoglie infatti tra i suoi protagonisti un’icona dell’arte contemporanea internazionale: la britannica Tracey Emin. Si tratta della prima e unica opera pubblica in Italia dell’artista. Un ingresso reso possibile proprio grazie alla Fondazione Arte CRT che per celebrare il suo venticinquesimo anniversario ha deciso di donare alla Città una prestigiosa opera al neon dal titolo Sex and Solitude, collocata nei Giardini Reali bassi, firmata da una delle figure più acclamate al mondo, autrice, tra i molti linguaggi praticati, di celebri creazioni luminose.
12/11/25
Renée Green "The Equator Has Moved" al Dia
Renée Green: The Equator Has Moved, installation view, Dia Beacon, New York, 2025–26. © Renée Green and Free Agent Media. Photo: Bill Jacobson Studio, New York
La prima importante personale dell'artista multidisciplinare in un museo a New York. Dalla fine degli anni '80, Green ha prodotto opere dense e stratificate, basate sulla conoscenza, che adattano le strategie dell'arte minimalista e concettuale degli anni '60 e '70. Nel suo processo ricorsivo unico, Green giustappone una gamma di materiali – frammenti d'archivio, documentari e letterari; effimeri personali e trovati; narrazioni speculative; e le sue opere esistenti – per sondare i confini instabili tra realtà e finzione, ricordo pubblico e memoria personale.
Costellando opere storiche, riconfigurate e di nuova commissione nel nesso tra la planimetria del Dia Beacon, le due ampie gallerie centrali e il corridoio perpendicolare, questa presentazione cronologicamente provocatoria mette in scena opportunamente la pratica dell'artista in contatto e nel contesto con figure influenti chiave per la storia del Dia e la formazione di Green. Installazioni multimediali fondamentali che riconsiderano criticamente i generi storico-artistici di site art, landscape art e land art tornano in mostra negli Stati Uniti per la prima volta in oltre tre decenni. Riunita nella sua interezza al Dia, la serie Color di Green dei primi anni Novanta esamina come il colore funzioni come strumento di categorizzazione; un sistema di valori arbitrario e socialmente codificato; e un efficace dispositivo percettivo e spaziale per l'immaginazione poetica dell'artista. Coinvolgendo sia le pareti che il soffitto, Green sospende una nuova serie di vivaci striscioni testuali, o Poesie Spaziali , lungo l'estensione lineare dei corridoi, completata da una nuova serie di varianti in smalto montate a parete. Analogamente, nuove configurazioni ibride dei Bichos dell'artista – unità geometriche modulari multicolori da guardare e ascoltare – saranno distribuite nelle gallerie, funzionando come architetture mediatiche provvisorie che presentano selezioni dal compendio di opere di immagini in movimento e sonore di Green.
Renée Green: The Equator Has Moved è resa possibile grazie al significativo supporto della Teiger Foundation e della Terra Foundation for American Art. Significativo anche il supporto della Andy Warhol Foundation, della Every Page Foundation e del Girlfriend Fund. Generoso il supporto della Jacques and Natasha Gelman Foundation e del National Endowment for the Arts. Ulteriore supporto da parte di Philip E. Aarons e Shelley Fox Aarons, Miyoung Lee e Neil Simpkins e della David Schwartz Foundation, Inc.
Tutte le mostre al Dia sono rese possibili dall'Economou Exhibition Fund.
11/11/25
Sixties Surreal
10/11/25
Marc Chagall a Ferrara
In questi tempi così movimentanti e spesso dolorosi una ventata di gioia e bellezza è un bel rifugio, e questo può essere in questi giorni a Palazzo dei Diamanti di Ferrara, dove fino all’8 febbraio 2026 è in corso una stupenda mostra su Marc Chagall, testimone del suo tempo, con un percorso espositivo di sorprendente intensità emotiva che invita il pubblico a immergersi nell’universo poetico di uno dei più importanti e amati maestri dell’arte del Novecento.
Un viaggio straordinario che rivela come Marc Chagall (Vitebsk, 1887 – Saint–Paul de Vence, 1985), universalmente noto per le figure fluttuanti e le colorate atmosfere incantate, abbia saputo mantenere viva la memoria della sua terra natale, della tradizione e degli affetti, proiettandoli sempre verso nuovi orizzonti espressivi.
In un’epoca di frammentazione, egli ci ricorda che l’arte può essere ponte tra mondi diversi, sintesi di tradizioni apparentemente inconciliabili, specchio fedele delle aspirazioni e delle contraddizioni dell’umanità. La sua opera celebra quella verità emotiva che rende tangibili i sentimenti più profondi dell’animo umano, elevando lo spirito verso una bellezza capace di trovare, anche negli orrori del tempo, barlumi di pace e comprensione.
La mostra vede come special partner Ricola, mobility partner Frecciarossa Treno Ufficiale e conta sul supporto di Copma.
08/11/25
Lucio Fontana ceramista da Peggy Guggenheim
Nel giorno di apertura la direttrice Karole P. B. Vail ha sottolineato l’importanza di questo omaggio a Lucio Fontana, tra gli artisti più innovativi e irriverenti del XX secolo. "Si tratta della prima mostra museale interamente dedicata alla produzione ceramica di Lucio Fontana", ha affermato Vail, proseguendo: "Come suggerisce il titolo stesso, attraverso una sorprendente varietà di lavori, circa settanta, la mostra offre un approfondimento inedito sul rapporto vitale dell’artista con la creta, materiale che accompagnò il suo percorso creativo per tutto l’arco della vita. Già nel 2006 il museo ha reso omaggio all’artista con la mostra Lucio Fontana. Venice/New York, curata da Luca Massimo Barbero. Oggi torniamo ad ospitare una monografica dedicata a Fontana, ma che ne esplora un lato assolutamente meno conosciuto, ovvero il suo rapporto con la ceramica".
"Questa mostra svela un lato più intimo e tattile di Fontana, nato da un legame profondo e duraturo con una materia umile come l'argilla, un lato che va oltre la figura iconica ed eroica conosciuta per i suoi tagli e i gesti audaci", ha poi proseguito la curatrice Hecker. "Ripercorrendo l'approccio diretto dell'artista alla ceramica, l’esposizione restituisce a questo medium il ruolo che gli spetta accanto al marmo e al bronzo, riconoscendone la forza espressiva e il valore artistico. Celebra non solo il rapporto di Fontana con i rituali del lavoro con la creta, ma anche le straordinarie potenzialità di questo materiale come strumento di sperimentazione e di libertà creativa. Mi auguro che la mostra sappia sorprendere il pubblico e offrire una nuova prospettiva su un artista dall'inesauribile capacità d’innovazione".
Con circa settanta opere, alcune delle quali mai esposte prima, provenienti da note collezioni pubbliche e private, la mostra intende far luce sulla portata della visione scultorea di Fontana attraverso un materiale come la creta, rivelando come abbia rappresentato, nel corso degli anni, un terreno di sperimentazione ricco e produttivo. La sua produzione ceramica si distingue per la varietà di forme, tecniche e soggetti: dalle opere figurative che rappresentano donne, animali marini, arlecchini e guerrieri, fino alle sculture astratte, il suo approccio all’argilla recupera i rituali antichi imposti dalla materia, sui quali interviene in modi innovativi. La sua pratica ceramica si sviluppa nell’arco di decenni e in contesti molto diversi: dal primo periodo in Argentina al ritorno in Italia all’epoca del Fascismo, seguito da un ulteriore lungo soggiorno in Argentina durante la guerra e da un nuovo rientro, nel dopoguerra, nell’Italia della ricostruzione e del boom economico. Fontana realizzò anche oggetti per interni privati, dai piatti ai crocifissi, caminetti e maniglie, spesso in collaborazione con importanti designer. Con rinomati architetti milanesi creò fregi ceramici per facciate di edifici e sculture per chiese, scuole, cinema, hotel, circoli sportivi e tombe che ancora oggi ornano la città. In mostra sono presenti sia pezzi unici realizzati a mano che oggetti prodotti in serie, alcuni dei quali sfumano i confini tra le due categorie.
Ad accompagnare l’esposizione, un cortometraggio inedito, Le ceramiche di Lucio Fontana a Milano, appositamente commissionato e realizzato dal regista argentino Felipe Sanguinetti. Concepito come parte integrante del percorso espositivo, il film conduce il pubblico in un viaggio cinematografico attraverso diversi luoghi della città di Milano, dal Cimitero Monumentale all’Istituto Gonzaga, Fondazione Prada, Villa Borsani, Chiesa di San Fedele, Museo Diocesano, per raccontare le opere ceramiche che Fontana realizza grazie alla collaborazione con importanti architetti italiani, tra cui Osvaldo Borsani, Roberto Menghi, Mario Righini, Marco Zanuso. Tutti interventi site-specific, integrati nel tessuto architettonico e urbano della città, che non hanno potuto essere fisicamente trasportati nelle sale museali, ma che rivivono grazie alle immagini potenti e affascinanti di questo film, fruibile negli spazi antistanti la mostra.
La mostra è accompagnata da un catalogo illustrato, pubblicato da Marsilio Arte, che include nuovi saggi critici della curatrice Hecker, e di Raffaele Bedarida, Luca Bochicchio, Elena Dellapiana, Aja Martin, Paolo Scrivano, Yasuko Tsuchikane, tutti dedicati alla pratica ceramica di Fontana e ai suoi contesti storici, sociali e culturali.
Completa l’esposizione un articolato programma di attività collaterali gratuite, volte ad approfondire e interpretare la pratica e il linguaggio visivo dell’artista, realizzate grazie alla Fondazione Araldi Guinetti, Vaduz.
Mani-Fattura: le ceramiche di Lucio Fontana è sostenuta da Bottega Veneta.
07/11/25
The Art Market 2025
Eccolo a questo link https://theartmarket.artbasel.com/ l'annuale report sull'arte globale proposto da ArtBasel e UBS.
A Leggerlo pare che tutto nel complesso vada migliorando, purtroppo qui dalle mie parti però vedo sempre più che i giovani stanno cambiando l'approccio all'arte, che nessuno compra arte e che le gallerie chiudono, ma forse siamo su quel territorio che è in declino ...
CS
Per fornire approfondimenti sulle attività e gli atteggiamenti dei collezionisti, l'indagine Art Basel and UBS Survey of Global Collecting 2025, redatta da Clare McAndrew di Arts Economics, presenta i risultati di una ricerca condotta a metà del 2025 su individui con un patrimonio netto elevato (HNWI) attualmente attivi nel mercato dell'arte. Il rapporto esamina i modelli di spesa e gli interessi dei collezionisti di diversi mercati in tutto il mondo, nonché le loro opinioni sul mercato dell'arte nel 2025 e oltre.
Questo sondaggio è il dodicesimo di una serie condotta in collaborazione con Arts Economics e UBS e copre 10 mercati, con risposte da 3.100 HNWI, e rimane uno dei più grandi sondaggi sui collezionisti ad alto patrimonio netto a livello mondiale.
06/11/25
ARTis - festival dell'arte
ARTis, Festival dell’Arte
L’Italia possiede uno straordinario patrimonio artistico e architettonico, ma l’arte non è tra i primi interessi dei suoi abitanti. Siamo immersi nell’arte e quasi non ce ne accorgiamo. Ma l’arte non è solo il passato, è anche e soprattutto il presente e il futuro, è contemporanea.
E allora perché non pensare a un luogo in cui l’arte si racconta e viene vissuta da tutti come un patrimonio condiviso, vivo, pulsante?
ARTis, primo festival dedicato all’arte, nasce nella città di Vicenza con una vocazione al dialogo e allo scambio sottolineata già nel suo nome: la “is” di ARTis enfatizza l’obiettivo di definire, con la partecipazione dell’artista e del pubblico, l’arte contemporanea in tutte le sue declinazioni. Inoltre, ARTis lascia volutamente in sospeso la “t” finale di Artist, rivolgendo così al pubblico l’invito a completare la parola, attraverso gli stimoli proposti durante gli incontri del Festival.
Per capire cos’è ARTis occorre partire da cosa NON è: non è una fiera, né una mostra, non si vende né si espone arte. Non è una conferenza per addetti ai lavori, un incontro a numero chiuso. ARTis è un momento di apertura, di curiosità, un’occasione per incontrare l’artista, per dialogare con l’esperto, per rispondere a domande che tutti ci siamo posti: cosa fa un’artista, come vive, di cosa vive, quando diventa “grande”, come lo diventa, e per chi? Qual è il lavoro in studio, la preparazione, l’intenzione, il pensiero dell’artista contemporanea? Come si manifesta?
“Non vi è arte senza artista”, è il claim della prima edizione del Festival. Un invito a scoprire chi è l’artista oggi, in un mondo in cui l’arte affronta temi complessi come politica, economia e questioni ambientali.
Per le edizioni future ARTis continuerà a esplorare molti altri aspetti legati al mestiere dell’artista: dal collezionismo, alla committenza, al ruolo dei musei, delle gallerie, dei curatori, della scienza, svelando i lati meno noti delle professioni dell’arte e facendo necessariamente riferimento al passato che ha dato tanto a ogni artista: l’eredità artistica è infatti fonte continua di idee e innovazione.
05/11/25
Jean Dubuffet e l'Hourloupe
Nel luglio del 1962, durante una conversazione telefonica informale, Jean Dubuffet iniziò a scarabocchiare con una penna a sfera. Da questo gesto apparentemente banale nacque L'Hourloupe , un sistema visivo rivoluzionario che lo avrebbe impegnato per oltre un decennio (1962-1974). Caratterizzato da toni piatti rossi e blu, vuoti bianchi e spessi contorni neri, questo linguaggio grafico distintivo decostruì la realtà per costruire un universo alternativo di forme cellulari, figure ambigue e paesaggi onirici.
Più che una serie, L'Hourloupe si estese attraverso pittura, scultura, performance, letteratura e persino architettura. Il suo culmine fu Coucou Bazar (1971-1974), la celebre "pittura animata" di Dubuffet che fondeva pittura, costumi, coreografia e suono in un'opera d'arte totale e immersiva.
Da L'Hourloupe alla sua eredità (1962-1982)
La mostra presenta opere che coprono un arco temporale di 20 anni, ripercorrendo la metamorfosi di L'Hourloupe nelle serie successive, tra cui Coucou Bazar, Sites tricolores, Théâtres de mémoire, Psycho-sites e Sites aléatoires . Tra i pezzi forti , Échec à l'être (1971), un monumentale ritaglio dipinto da Coucou Bazar , eseguito per la prima volta al Museo Guggenheim nel 1973, e Site au Défunt (1982), un collage dai Sites aléatoires , in cui figure e paesaggi si fondono in composizioni casuali e cariche di emozioni.
Insieme, queste opere dimostrano come il linguaggio di Dubuffet si sia evoluto pur rimanendo radicato nella sua ricerca di liberare l'arte dalle convenzioni e creare una forma di espressione universale.
Nato a Le Havre nel 1901, Jean Dubuffet è celebrato come il fondatore dell'Art Brut. Rifiutando le tradizioni accademiche, abbracciò materiali grezzi e non raffinati e trasse ispirazione dall'arte outsider, dai bambini e dai pazienti psichiatrici. La sua sperimentazione radicale ha influenzato generazioni di artisti e continua a risuonare nelle pratiche artistiche contemporanee odierne.

.jpg)
.jpg)
.jpg)
.jpg)
.jpg)
.jpg)
.jpg)
.jpg)



.jpg)
.jpg)
.jpg)














.jpg)
.jpg)
.jpg)
.jpg)
.jpg)
.jpg)




