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11/11/09

La Biennale di Venezia, il Padiglione Italia




Sta per concludersi la Biennale di Venezia, forse si può tracciare un bilancio del bistrattato Padiglione Italia.

Curato da Luca Beatrice e da Beatrice Buscaroli che hanno proposto gli artisti: atteo Basilé, Manfredi Beninati, Valerio Berruti, Bertozzi&Casoni, Nicola Bolla, Sandro Chia, Marco Cingolani, Giacomo Costa, Aron Demetz, Roberto Floreani, Daniele Galliano, Marco Lodola, MASBEDO, Gian Marco Montesano, Davide Nido, Luca Pignatelli, Elisa Sighicelli, Sissi, Nicola Verlato e Silvio Wolf.

La cosa che più ha colpito di questa edizione è l’aver accusato i due curatori di aver presentato una qualità artistica non adatta all’evento, cosa che non mi pare, al limite sarebbe stato più giusto affermare che la loro scelta era dettata da un gusto che differiva dalle linee proposte nelle due edizioni precedenti.

Personalmente ritengo che la scelta dei curatori sia in linea con questi tempi, dove tutti giustamente enfatizzano le loro scelte indifferentemente dalla motivazioni qualitative e culturali. In quest’attualità sempre più autoreferenziale e incapace d’incontrare l’altro, di aprirsi al mondo e al presente.

Umanità sempre più solipsista e dalla vista debole. I due curatori paiono essere parte di questo mondo, e come tutti tentano le loro “carte”, e non mi pare che siano gli unici. Forse i punti deboli sono stati i mezzi, limitati e il supporto corale frastagliato. Ma tanti altri più abili ma pur sempre “di parte” agiscono con più supporto e dinamismo, con risultati poco più validi e con uno spirito miope e interessato, velato di finta “cultura, almeno in questa edizione c’è stata una certa “onestà culturale” nel giustificare le scelte, forse non condivisa ma almeno meno ipocrita.

Ritengo il Padiglione Italia di quest’anno sufficiente ma poco coraggioso.

Ma oggi chi ha voglia di osare? in fondo non ha fatto tanto meglio il Daniel Birnbaum, molto “sostenuto” anche qui in patria, presentando per la Biennale una semi copia del suo lavoro alla Triennale di Torino, già molto debole, con esiti troppo scontati e poco significativi.

E che dire della privatistica Punta delle Dogana, almeno qui sono soldi privati, enfatizzata con starlette e veline di grido, ma che al suo interno presentava opere “artisticamente commerciali” viste già troppo spesso e in multipli vendibili?

Via siamo in una fase di trasformazione e l’arte deve ancora esprimere questo cambiamento o forse l’ha già fatto, ma altrove dove ha pochi interessa perché sempre più reale e meno manovrabile.

Voi che ne pensate?