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28/05/10
Pensieri sull’arte – Collezionisti
Questo termine viene usato in modo troppo simile al passato, quando in realtà la situazione socio-culturale-economica era assai diversa. Una volta il collezionismo era quasi solo una pratica culturale e rappresentativa. Oggi sono ben pochi coloro che agiscono con questo spirito, molti quelli che seguono una moda, alcuni che provano a farne un’attività redditizia.
Il collezionismo è vittima di un mercato molto ristretto, alquanto sfalsato e spesso molto speculativo. L’offerta se confrontata alla ricchezza di pochi decenni fa pare quasi desertica. In decine di rassegne fieristiche/culturali, spesso molto simili, compaiono proposte che, anche col variare dei paesi, non variano quasi mai nei nomi degli artisti, intanto l’umanità supera i 7 miliardi di persone.
Come per tutti i consumi anche qui siamo in presenza di un assottigliamento del gusto, ma forse sarebbe meglio dire un’offerta pilotata che cerca di creare consenso su certe liste di nominativi e opere.
Per cui paiono rari i casi in cui la passione all’arte è intensa ed empatica vista la limitatezza dell’offerta.
Si ha così la percezione che troppo spesso i nuovi collezionisti seguono più le statistiche di tante riviste/siti che il proprio gusto.
In questi ultimi decenni le pubblicazioni “scientifiche” sull’arte contemporanea sono cresciute a dismisura. In particolare sugli aspetti economici, sull’approccio all’acquisto, la durata, la tipologia del prodotto e la sua reale funzione estetica/culturale, con annessi consigli su possibili speculazioni. L’accumulo di tali dati, in forma temporale, inizia a essere molto interessante per una giusta valutazione dell’enfatizzata resa economica dell’arte stessa, ma poco dice del significato e del valore creativo, del piacere/varietà della scelta.
Un fattore determinante, che dovrebbe caratterizzare i collezionisti, potrebbe essere la conoscenza e la consapevolezza della realtà artistica contemporanea. La possibilità di relazione/frequentazione diretta con gli artisti, ma soprattutto il senso del fare di questa particolare attività e le sue implicazioni estetiche.
Tale passionalità a volte trova validi sostenitori ma molti sono quelli disorientati a causa della fruizione tanto rapida e rabdomantica, la scarsità di “qualità” dei manufatti e delle idee, della fumosità con cui sono proposte le opere. Troppo spesso poi sorgono dubbi sul senso, poco artistico ma più fiscalistico del sistema, che con strategie accorte creano consensi e fascinazioni su determinati nomi al fine di garantirne lo smercio e svuotare i magazzini.
Così forse si spiega come mai si è creata una presenza nelle principali fiere/eventi di una cerchia di personaggi, dati come esempio alla distribuzione. Attori di un fantomatico “bel mondo”, come si narrava nei tempi passati, al fine di creare una sensazione di glamour da prendere ad esempio agli sprovveduti consumatori d’arte.
Forse più autentici quelli che vivono questa situazione più come un gioco annoiato di fortunati benestanti. Dediti al collezionismo come passatempo per avere una scusa all’ennesimo viaggio, un argomento per rinnovare uno spazio di un appartamento, un tempo da far passare in modo divertente e originale, cogliendo il momentaneo divertimento.
26/05/10
Quanta arte è prodotta oggi e che cosa si vede in giro…
Come artista percepisco che il cambiamento sociale messo in atto dalla diffusione informatica e dalla grande mobilità umana sta modificando la percezione dell’idea di identità e di società.
Si sta assistendo da una parte a una massificazione e omologazione delle tradizioni socio-culturali fortemente rappresentata dai classici media informativi, dall’altra ad una richiesta di identità, che sempre più si forma in subculture e che proprio con i nuovi media trova spazio di espressione e aggregazione.
Anche l’arte risenti in modo forte di questi cambiamenti, si percepiscono dai media omologati alcuni artisti massificati e adatti (o adattati) a tutte le esigenze finto/false culturali, dall’altra si assiste ad una proliferazioni di attività artistiche, non registrate dai media conservatori ma molto vive e assolutamente indifferenti all’informazione “ufficializzata” e molto pilotata, che soprattutto nel web trovano spazi di diretta comunicazione, manifestazione e fruizione.
Quali di queste rappresenta veramente l’arte del nostro tempo?
24/05/10
Festival dell’Arte Contemporanea
Nei giorni scorsi a Faenza, capitale italiana delle ceramica, si è svolta la terza edizione del Festival dell’Arte Contemporanea.
Sotto un bel cielo azzurro le giornate d’incontri sono passate rapidamente, ricche di interessanti stimoli e di utili riflessioni.
Il tema di quest’anno era l’opera, che è stata pensata con differenti angolazioni, da quella diretta del creatore, cioè l’artista, passando per chi dovrebbe presentarla nel contesto sociale (gallerie, curatori, opeatori..) e di chi ne interpreta possibili significati e pensieri (critici, storici..).
Mancava solo il parere dei collezionisti e del pubblico per completare il processo di analisi, ma forse qui sarebbe stato molto più difficile dare un accenno di orizzonte, vista la vastità del gusto e delle idee.
Fra le conferenze che ho potuto seguire quelle più interessati sono state l’incontro moderato da Angela Vettese di Paolo Fabbri e Massimo Recalcati, molto astratto ma stimolante. Le interviste di Andrea Viliani a Dora Garcia, Massimiliano Scuderi a Vito Acconci e Irene Calderoni a Nedko Solakow, artisti e intervistatori preparati e chiari, mentre tanti altri hanno brillato per vuoto e banalità.
Un particolare merito va alla folta presenza dei volontari che hanno sostenuto in modo prezioso tutti gli eventi. Il prossimo anno il tema sarà Forms of collecting/ Forme della committenza.
18/05/10
16/05/10
Pensieri sull'arte - Luogo
I luoghi espositivi sono determinanti per la riuscita di un evento, il contesto certifica il valore dell’opera.
Un manufatto presentato in uno spazio assume su di se il valore dello spazio stesso. La medesima opera proposta in un ristorante o in una galleria o ancora di più in qualche Fondazione/Museo, cambia di valore e di considerazione, come ben ci ha insegnato Duchamp.
Ma ora anche lo spazio classico del whitecube pare essere surclassato, in questi ultimi anni l’ibridazione con spazi di ogni genere è stata determinante. Più la location è particolare più l’evento potrà fare breccia nei cuori dei fruitori/collezionisti.
L’arte in questo è stata maestra, già i surrealisti a Parigi avevano tentato nelle loro eventi situazioni/allestimenti estremi ed originali, per cui pare normale che oggi si realizzano mostre in luoghi impossibili ed enfatici in ogni angolo remoto del globo, sia privati che pubblici.
Tanto più che un artista che cosa può ancora ideare, visto che tutto in qualche forma è già stato tentato. Per cui il ruolo dell’allestimento/spazio risulta determinante, ma questo fa sembrare tutto sempre più un evento teatrale, dove già la sperimentazione recentemente ha dato cose eccelse.
Il tempo di un’arte prettamente estetico si sta concludendo, la società è mutata e l’estetica non è più un parametro da consolidare ma da rinterpretare e mutare. Come è cambiato il nostro paesaggio visivo/tecnico, il nostro concetto di comunicazione, nel nostro presente. Oggi lo sguardo umano si posa sempre di più su uno schermo tridimensionale, su un universo che è visivo e molteplice. In ogni attimo sono disponibili milioni di immagini di ogni tipo e genere, che chiunque in un breve spazio di tempo può trovare sul web ed elaborare con semplici programmi software.
A seguito di tutte queste considerazioni penso che l’arte di oggi sarà sempre meno “arte” nel senso oggettuale e sempre più “altro”.
Un universo di cose che attraverserà sempre di più la sfera del tempo libero, lasciando i fumosi pensieri del passato.
Un altro aspetto dello spazio è la sua funzione promozionale, in Italia molto carente, in quanto i luoghi espositivi per gli artisti sono rari e quasi sempre di difficile adattabilità. Un poco sopperiscono le realtà autogestite che però scarse di risorse e, spesso, di idee; diventano quasi dannose per la gestione dell’evento stesso.
Sugli spazi privati la situazione è molto variegata, una grande maggioranza agisce in modo semplice e diretto alla vendita, senza nessun filo strutturale. Rari quelli che cercano una linea specifica. Il resto sta in mezzo con situazioni che cercano consenso ma che devo stare attente al pareggio economico, che in questi tempi di crisi è molto difficile mantenere.
Un manufatto presentato in uno spazio assume su di se il valore dello spazio stesso. La medesima opera proposta in un ristorante o in una galleria o ancora di più in qualche Fondazione/Museo, cambia di valore e di considerazione, come ben ci ha insegnato Duchamp.
Ma ora anche lo spazio classico del whitecube pare essere surclassato, in questi ultimi anni l’ibridazione con spazi di ogni genere è stata determinante. Più la location è particolare più l’evento potrà fare breccia nei cuori dei fruitori/collezionisti.
L’arte in questo è stata maestra, già i surrealisti a Parigi avevano tentato nelle loro eventi situazioni/allestimenti estremi ed originali, per cui pare normale che oggi si realizzano mostre in luoghi impossibili ed enfatici in ogni angolo remoto del globo, sia privati che pubblici.
Tanto più che un artista che cosa può ancora ideare, visto che tutto in qualche forma è già stato tentato. Per cui il ruolo dell’allestimento/spazio risulta determinante, ma questo fa sembrare tutto sempre più un evento teatrale, dove già la sperimentazione recentemente ha dato cose eccelse.
Il tempo di un’arte prettamente estetico si sta concludendo, la società è mutata e l’estetica non è più un parametro da consolidare ma da rinterpretare e mutare. Come è cambiato il nostro paesaggio visivo/tecnico, il nostro concetto di comunicazione, nel nostro presente. Oggi lo sguardo umano si posa sempre di più su uno schermo tridimensionale, su un universo che è visivo e molteplice. In ogni attimo sono disponibili milioni di immagini di ogni tipo e genere, che chiunque in un breve spazio di tempo può trovare sul web ed elaborare con semplici programmi software.
A seguito di tutte queste considerazioni penso che l’arte di oggi sarà sempre meno “arte” nel senso oggettuale e sempre più “altro”.
Un universo di cose che attraverserà sempre di più la sfera del tempo libero, lasciando i fumosi pensieri del passato.
Un altro aspetto dello spazio è la sua funzione promozionale, in Italia molto carente, in quanto i luoghi espositivi per gli artisti sono rari e quasi sempre di difficile adattabilità. Un poco sopperiscono le realtà autogestite che però scarse di risorse e, spesso, di idee; diventano quasi dannose per la gestione dell’evento stesso.
Sugli spazi privati la situazione è molto variegata, una grande maggioranza agisce in modo semplice e diretto alla vendita, senza nessun filo strutturale. Rari quelli che cercano una linea specifica. Il resto sta in mezzo con situazioni che cercano consenso ma che devo stare attente al pareggio economico, che in questi tempi di crisi è molto difficile mantenere.
13/05/10
12/05/10
Marina Abramovic
Nata a Belgrado il 30 Novembre 1946, da una importante famiglia serba, durante un’esperienza d’insegnamento all'Accademia di Belle Arti di Novi Sad, inizia a dedicarsi alle performance, per poi trasferirsi nel 1976 ad Amsterdam, dove collabora e si relazione con Ulay, artista tedesco, nato tra l'altro nel suo stesso giorno, su questo tipo di pratica artistica.
I due realizzano tantissimi progetti performativi che termineranno, come il loro rapporto, nel 1989, con una performance camminata lungo la Grande Muraglia Cinese. Marina partì dal lato orientale sulle sponde del Mar Giallo, mentre Ulay da quello occidentale. Dopo novanta giorni si incontrarono a metà strada dopo aver percorso duemila e cinquecento chilometri.
Raggiunge notorietà mondiale nel 1997 con la Biennale di Venezia dove presenta la performance “Balcan Baroque", per tre giorni l’artista gratta e pulisce una montagna sanguinolenta di ossa di animale, cantando litanie e lamenti.
Di lei mi affascina tantissimo l’essersi posta come corpo fisico in una dimensione sociale, l’essersi esposta direttamente in sperimentazioni molto estreme e ideologiche. Peccato che la sua dimensione più recente stia prendendo una piega modaiola, che forse sta dando maggiore visibilità ma snatura un poco il suo validissimo percorso.
11/05/10
Da Torino a Guarene
In questi giorni la Gagliardi System presenta due artisti alquanto diversi per espressione ma comuni nel mettere la riconoscibilità identitaria al centro dei laovri. I ritratti di Aurore Valade e gli interventi di Carlos Steiner, la prima molto classica ma con una piacevole caratterizzazione e interpretazione delle personalità ritratte, il secondo con una serie di opere piacevole e riflessive, in particolare il video Buone Nuove.
Weber e Weber propone una raccolta di immaginifiche fotografie create dall’abile manipolazione fisica di Roberto Kusterle. Suggestioni fiabesche, eleganti stil metafisici, attimi di sospensione di mondi poetici. Un grande lavoro di ideazione condensati in fotografie classiche.
La Galleria Franco Noero ha appena avviato la mostra “this was not the end” di Costa Vece, una raccolta di assemblage, fotografici e scultorei, un parallelo fra la fisicità fisica del superare una necessità fisica e un’altra di superare una visione memonica del tempo.
A fine giornata, con un bel cielo primaverile, un piacevole inaugurazione alla Fondazione Sadretto Re Rebaudengo a Guarene, in questa solare postazione su una verde vallata, per la mostra Persone in meno, residence curatoriale per stranieri, realizzato in cooperazione con la Fondazione Garrone. I tre curatori, Angelique Campens, Erica Cooke, Chris Fitzpatrick, hanno proposto una selezione di giovani artisti particolarmente significativi del panorama italiano con cui sono venuti in contatto in questi mesi di permanenza nel nostro paese. Con la rigorosa performance di Chiara Fumai, purtroppo sottoposta a una certa disattenzione generale, l’evento ha preso avvio ricco di diverse espressioni e approcci tra le opere più interessanti l’intervento di Fune di Alberto Scordo e Untlited di Giuseppe Lana.
08/05/10
DAC I Diritti dell’Arte Contemporanea
Giovedì 6 Maggio presso la GAM di Torino si è svolta la prima giornata del convegno DAC I Diritti dell’Arte Contemporanea, incontri promossi dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università di Torino, dall’Accademia Albertina di Belle Arti, dalla Facoltà di Giurisprudenza dell’Università Bicocca di Milano e con il patrocinio dell’Union Internationale des Avocats-Art Law Commission, è realizzato con il patrocinio di Comune, Provincia di Torino e Regione Piemonte e con il sostegno della Fondazione per l'Arte Moderna e Contemporanea - CRT.
Ha avviato la serie di relazioni un interessante introduzione di Anna Detheridge, che ha toccato diversi aspetti del contesto in cui l’arte contemporanea si muove e le sue complesse dinamiche, proponendo alla fine un interessante proposito di unire in un manifesto che guardi al futuro e allo sviluppo. E’ seguito un confronto di idee guidate da Prof. Gianmaria Ajani che ha introdotto gli artisti Alberto Garutti e Piero Gilardi, che hanno condiviso esperienze e percorsi del creare e del tutelare il proprio lavoro.
Un attimo di relax con le suggestioni e le mutazioni architettoniche degli spazi espositivi di Francesco De Biase, a cui è seguito un interessante e borderline Teresa Macrì che ha avviato il terzo incontro sul tema dell’identità seguito da un percorso del Prof. Angelo Chianale sul diritto che tenta di affrontare le necessità/riconoscibilità/tutela dell’arte.
Hanno concluso la serata un dibattito aperto fra Valerio Berruti, Lea Mattarella e Maria Teresa Roberto.
La seconda giornata del convegno DAC I Diritti dell’Arte Contemporanea alla GAM di Torino è iniziata con un confronto, coordinato da Alessandra Donati, sulle esperienze. Sono intervenuti Danilo Eccher, che ha portato la sua lunga esperienza di direttore museale, un pungente Massimo De Carlo, sulle complessità gestionali di una galleria in un contesto articolato come il presente. Claudia Dwek, voce rappresentante il mondo delle aste internazionali, Patrizia Sandretto Re Rebaudengo, della omonima fondazione torinese. Molto interessante la testimonianza di un altro collezionista privato, Gianni Bolongaro, con le difficoltà normative di gestire una realtà in un contesto protetto di un parco. Ha concluso Andrea Pizzi, consulente per le collezioni private. Sono poi seguiti alcuni interventi a latere sulla presenza dei writers nel contesto urbano.
Dopo la pausa pranzo, con molto ritardo si è ripreso una serie di appuntamenti alquanto rapidi e forse troppo affollati presieduta da Guido Curto, dove in una veloce e osmotica continuità sono intervenuti, Massimo Sterpi che ha fatto un escursus sulla funzione dell’opera “concettuale/immateriale”, Luigi Mansani con una elencazione della realtà artistica nel web, Carlo Montagna sulla cessazione dei diritti di seguito, Alessandro Laterza sugli incentivi/defiscalizzazione, Maria Grazia Bellisario sugli spazi pubblici. Alla fine di questa cascata di informazioni un confronto, moderato da Fulvio Gianaria, con spot di Stefano Baia Curoni, Ilaria Bonacossa, Christine Ferrari-Breeur, Adele Marchesoni, Walter Santagata, Silvia Segnalini, che non ho più seguito perché alquanto provato dagli interessanti precedenti interventi.
Nel suo complesso questa due giorni è stata forse troppo ricca di stimoli, tutti molto interessanti e attuali, da cui si spera di poter trovare, lasciandoli sedimentare, spunti concreti e applicazioni di queste urgenze.
Grazie EdL
04/05/10
Pensieri sull’arte – Artisti
I nuovi artisti che entrano nel sistema arte si trovano sempre di più senza spazio espressivo e senza possibilità di ruolo, essendo la loro professione dipendente da pochi “datori di lavoro” che sempre di più scelgono in base a relazioni conoscitive, relazioni dirette, senza definiti parametri di valore pragmatico (ma quali potrebbero essere questi?) in cui sia l’opera ad avere un peso e non la “socievolezza” dell’artista.
Si assiste sempre di più ad un mondo relazionale dove il fare artistico non è più centrato sulla crescita/sviluppo artistico, ma sulle conoscenza e frequentazioni che l’artista sa creare, sulla sua presenza ad eventi “mondani/amicali”. Questo anche perché per i giovani artisti le occasione espositive sono praticamente assenti, soprattutto se alla prima manifestazione, per cui spesso finiscono in luoghi inadatti alla propria creatività, compromessi che bruciano possibili sviluppi.
Questo dovuto anche alla facilità con cui i curatori, numero ristretto e che domina sui principali eventi, preferiscono fare affidamento a persone conosciute e che garantiscono poi un ritorno galleristico. Creando così circuiti chiusi e autoreferenziali, limitando in tal modo la varietà e la crescita culturale. Basta leggere le ripetitive liste degli eventi più noti per notare che in un mondo in crescita esponenziale i nomi degli artisti restano sempre gli stessi adattati ad ogni tema, impegno, senso estetico grazie a testi mistici/filosofici che giustificano ogni scelta.
Un altro aspetto sui giovani artisti e la loro mancanza di poter crescere creativamente e produttivamente, legati ad esperienze brevi quali i workshop/laboratori/corsi tutti molto aleatori e in continua ansi modaiola. In cui cosa conta non è tanto il senso di queste attività e la loro incisività ma una visibilità continua, rassegne senza profondità, riflessi di momenti in un gioco più giovanilistico che culturale.
La giovinezza è poi facilmente manovrabile e suggestionabile da chi usa questi inesperte identità, come figurine funzionali al suo interesse. Sono state tantissime le personalità valide che spremute da abili manovratori dopo pochi anni si sono trovate svuotate e lasciate al palo.
Colpisce anche molto notare che tanti giovani paiono già vecchi, talmente le loro opere sono simili a quelle che già negli anni 60/70, soprattutto in ambito concettuale venivano prodotti, ma anche la pittura non pare essersi evoluta da quei tempi, ma questa staticità secondo me è legata anche alla mancanza di evoluzione delle tecniche che continuando ad essere sempre le stesse hanno esaurito ogni creatività.
La situazione italiana poi risente di un ritardo culturale ed economico che sempre di più riprende gli stilemmi stranieri con un forte ritardo e con una acriticità che rende tutto ancora più noioso e triste, manca il coraggio delle scelte, la capacità di inventare e di rendersi autonomi senza lasciar influenzare troppo.
Postilla personale sul fare creativo, ritengo che l’opera artistica oggi dovrebbe essere più un lavoro di staff, in un universo complesso non è più possibile pensare ad un artefice unico, ma ad un gruppo di lavoro dove ogni competenza è specializzata e dialogante. Forse si può iniziare in modo singolo ma poi l’obbligo di un insieme di operatori diventa impellente.
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