In questi ultimi anni
le opere artistiche, di collezioni private o gallerie, sono parcheggiate nei
musei di arte contemporanea (già l’idea stessa che il presente possa essere già
museificato dovrebbe far sorgere qualche sospetto) più superficiali e modaioli in
attesa che venga il momento più adatto per essere poi buttate nel dispendioso
gioco del mercato dell’arte contemporaneo.
Dimenticato il noioso
ed impegnativo mondo della Cultura, molta dell’arte contemporanea ha scoperto
il divertente giro del Monopoli dell’Arte, seguendo il classico percorso di caselle:
artista giullare, opera shock, white cube, museo contemporaneo, fiera, asta giungendo
all’agognato traguardo dei milioni di euro.
Così molti curatori e
critici s’ingegnano nel gestire l’arte come gadget d’arredo e status sociale. Forse
per cioè che si vedono “opere d’arte contemporanea” più nelle diverse riviste
patinate di moda, alla pari dei vestiti (forse non sarà un caso che molte case
del vestire pronto-moda/industrializzato relazionano o appartengono agli stessi
gestori dell’arte), che nelle pubblicazioni d’arte.
Per cui oggi possiamo
tranquillamente affermare che molta arte non è morta ma è diventata inutile. Essendo
sempre più uno spettacolo e sempre meno un fatto culturale, essa ha perso il
ruolo storico conformandosi alle tante occasioni di svago sociale. Ma già da
diversi anni la “cultura” è scomparsa dalle pagine dei giornali per ricomparire
fra i tanti articoli della pagina degli spettacoli. Una risata di seppellirà?